Non capita spesso che un sindaco venga sfiduciato dal proprio Consiglio comunale. Com’è noto, la legge che ha introdotto l’elezione diretta del primo cittadino ha cambiato i rapporti di forza tra le assemblee civiche e i sindaci, rafforzando il ruolo dell’organo esecutivo e il suo legame con l’elettorato. Soprattutto, dal 1993 in poi, i consiglieri sanno che approvare una mozione di sfiducia nei confronti di un sindaco significa mandare a casa lui, la sua Giunta, ma anche lo stesso Consiglio. Di conseguenza, tante mozioni legittimamente presentate dalle opposizioni si sono poi rivelate poco consistenti al momento del voto assembleare. La sfiducia che il Consiglio comunale di Favignana ha approvato la scorsa settimana nei confronti di Francesco Forgione si presenta, dunque, come un atto politico rilevamente, che induce alla riflessione.
Nell’estate del 2020 le Egadi furono scosse da un terremoto giudiziario che portò alla conclusione anticipata del secondo mandato amministrativo di Giuseppe Pagoto e la necessità di procedere ad elezioni anticipate. In quel contesto venne fuori la candidatura di Forgione, figura senz’altro autorevole per i ruoli ricoperti all’Assemblea Regionale e al Parlamento nazionale (fu anche presidente della Commissione Antimafia). Scossa dalla questione morale, la comunità egadina votò Forgione in una di quelle situazioni tipicamente meridionali che tanto ricordano il film “L’ora legale” di Ficarra e Picone. Esattamente come in quella riuscita commedia, tuttavia, il desiderio di cambiamento manifestatosi con il risultato elettorale ha lasciato progressivamente spazio a una certa nostalgia per il sistema precedente.
Un sentimento che è andato crescendo, così come è aumentata l’insofferenza reciproca tra il sindaco e una parte consistente della maggioranza consiliare, che – al terzo tentativo – ha raggiunto i numeri per sfiduciarlo. Cosa che non è riuscita, qualche mese fa, ai consiglieri comunali marsalesi nei confronti del sindaco Grillo, così come ai colleghi mazaresi nei confronti di Quinci (nel 2023) o a quelli trapanesi con Damiano (nel 2016). Ma ci sono state anche situazioni in cui, di fronte a fondati dubbi sull’operato del sindaco o della Giunta – i famosi intrecci tra politica e malaffare, purtroppo non rari in provincia di Trapani – i Consigli comunali hanno fatto finta di non vedere, rinunciando al proprio ruolo di vigilanza e controllo, magari lasciando che fosse il Ministero dell’Interno a intervenire con lo scioglimento per infiltrazioni mafiose, che rappresenta una macchia indelebile nella storia di una comunità. Al di là delle motivazioni evidenziate nella mozione ed espresse in aula, agli occhi di chi conosce le cronache recenti di questo territorio rimane qualche perplessità sulla vicenda di Favignana. Il tempo e la storia, probabilmente, ci aiuteranno ad avere le idee più chiare a riguardo. L’auspicio è che le antipatie personali non abbiano pesato più dell’interesse pubblico. Allo stesso modo, è auspicabile che, in altre situazioni e in altre città, non siano stati i tornaconti privati a prevalere sul bene comune.