Con il termine “sharenting” viene descritto il fenomeno di una condivisione online costante da parte dei genitori di contenuti che riguardano i propri figli/e (foto, video, ecografie, storie) e deriva dalle parole inglesi “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità). I genitori condividono ogni anno sui social network una media di 300 scatti dei propri figli esponendoli, spesso inconsapevolmente, a molti pericoli. A lanciare l’allarme sui rischi che possono correre i minori a seguito di un’esposizione così massiccia alle insidie del web è la Sip, la Società Italiana di pediatria.
I rischi dello Sharenting sono: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali; mancata tutela dell’immagine del bambino/a; ripercussioni piscologiche sul benessere dei più piccoli; rischio di diffondere contenuti utili ad alimentare materiali pedopornografici; rischio di adescamento.
Ed ecco, allora, che approda alla Camera la proposta di legge per tutelare la privacy dei bambini protagonisti dei canali social dei loro genitori. Al vaglio la possibilità di blindare i guadagni ottenuti dalla loro esposizione mediatica e di concedere ai ragazzi il diritto all’oblio digitale. Molti genitori si sentono i legittimi gestori della vita privata dei loro figli, e trovano sia un loro sacrosanto diritto scegliere se metterla in piazza oppure no. Il problema è che da adulti, se lo vorranno, questi bimbi non potranno riaverla: quando cresceranno potrebbero non gradire la loro presenza online, e soprattutto il modo in cui il genitore avrà narrato la loro vita. Una volta adulti, potrebbe essere difficile, se non impossibile, crearsi un’identità digitale propria.