“Legati e derubati da una banda di sei. L’unico arrestato è adesso fuori dal carcere”: i coniugi Salone scrivono a Petralia

redazione

“Legati e derubati da una banda di sei. L’unico arrestato è adesso fuori dal carcere”: i coniugi Salone scrivono a Petralia

Condividi su:

mercoledì 13 Maggio 2020 - 16:46

Con una lunga missiva, inviata al nuovo capo del Dap Dino Petralia, ma anche al Tribunale di sorveglianza di Palermo, al giudice Maria Chiara Vicini, al magistrato Sara Morri, ai parlamentari nazionali Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Alessandro Pagano e Raffaele Fitto, i coniugi Salone tornano dolorosamente a raccontare la vicenda di cui sono stati vittime all’inizio del 2019 presso la propria abitazione. Il loro è un appello che si lega alla recente scarcerazione per motivi di salute di Francesco Cammareri, l’unico componente della banda che li ha tenuti sotto sequestro, ad essere stato arrestato per i reati commessi a loro danno. La pubblichiamo di seguito integralmente:

Siamo Renato Salone e Francesca Paola Maltese, coniugi, entrambi medici, io Renato, di anni 79, in pensione da primario chirurgo, ed io Paola attualmente dirigente medico del reparto di ostetricia e ginecologia presso lo stesso Ospedale civile di Trapani. Nella notte tra il 20 ed il 21 gennaio 2019 abbiamo ricevuto nella nostra villa di Erice Casa Santa, da parte di “appena” sei malfattori, una visita del tipo “arancia meccanica”. Ci è mancato soltanto lo stupro. Per il resto fummo legati, io Paola anche narcotizzata, entrambi minacciati di morte con pistola, con riferimento anche a nostro figlio Francesco (ex consigliere comunale) e nipotino, per fortuna assenti, e rapinati di beni del valore di un milione e mezzo circa di euro previo scasso del caveau e della cassaforte, e di cui non fornimmo le chiavi. I rapinatori rubarono pure una pistola revolver calibro 38.

Dei sei invasori, tutti incappucciati, ce ne fu soltanto uno che lasciò tracce del suo DNA e perciò fu identificato ed arrestato nell’Agosto del 2019 ed associato alle carceri in Palermo. Non ha ancora fatto il nome dei suoi cinque complici. Trattasi di Cammareri Francesco, trapanese, soprannominato “Cicciu pummaroro” in italiensco “Francesco pomidoro”, abitante in Erice Casa santa (cioè in buona sostanza a Trapani) nel quartiere popolare di San Giuliano che non è tra i più eletti, ove vive riverito e protetto in quanto ritenuto vicino alla malavita organizzata, ergo “cosa nostra”, ove è chiamato “padrino” e contattato per la risoluzione a breve di problematiche di terzi stante la sua pregnante ed autoritaria influenza nella zona. Secondo gli investigatori era (e non è escluso lo sia ancora) a capo di una banda specializzata in estorsioni (con pizzo di € 500 a ristoratori, commercianti, centri scommesse etc.) e traffico di stupefacenti. Condannato per vari reati, con fine pena anno 2031 il “pummaroro” (tempo prima del gennaio 2019) era stato beneficiato degli arresti domiciliari a causa delle sue precarie condizioni visive che lo qualificavano come “non vedente”. E proprio violando gli arresti domiciliari e ricorrendo a non sappiano quali doti extrasensoriali o forsanco a qualche sedia a rotelle, venne a trovarsi in piedi nella nostra abitazione in combutta o a capo dei cinque malfattori. Fatto si è che ha egli contribuito alla sua identificazione col suo DNA trovato sulla sigaretta da lui tenuta in bocca e non fumata (in rispetto della legge ?!) e sulle fascette zigrinate con cui io Paola Maltese venni da lui legata in un momento in cui la sua vista ebbe una miracolosa reviviscenza.

A parte il tono faceto opportunamente finora usato per attenuare la gravità di un provvedimento giudiziario di cui appresso faremo severa censura, noi sottoscritti, consci del principio che “chi ha i guai se li pianga” riteniamo ultroneo riferire quanto sofferto in quelle maledette quattro ore a causa di quei sei delinquenti. Ed anche di quanto si possa poi soffrire nel vedersi privati dei risparmi di una vita di indefesso ed onesto lavoro, diurno e notturno, dentro ospedali ed extra moenia, con tutte quante le responsabilità morali e materiali in cui si incorre con la nostra delicata professione.

Quel che, invece, ora censuriamo con energia è il provvedimento con cui qualche illuminato organo giurisdizionale ha ridato gli arresti domiciliari a questo malvivente (fine pena 2031 esclusa quella che gli si infliggerà per i reati commessi in nostro danno) ricollocandolo nel suo ambiente e dandogli nuovamente la possibilità di delinquere.

Quello che noi ora ci domandiamo, e domandiamo espressamente a chi ha attenuato con gli arresti domiciliari la effettiva misura restrittiva nelle patrie galere, se ha letto il curriculum del Cammareri, se si sia reso conto che al tempo in cui godeva gli arresti domiciliari li ha violato facendo, organizzando, capeggiando la rapina a casa nostra; se effettivamente non vedente come abbia fatto a partecipare a questa rapina; se con la nuova, attuale concessione degli arresti domiciliari (di cui non è assolutamente meritevole non avendo fatto mai il nome dei suoi cinque correi) non continuerà a commettere, come in passato, altri reati; se ci veda oppure no; se sia falso o meno in punto quanto certificato dai medici.

Noi non biasimiamo quel legale che ha instato, e purtroppo fatto ottenere, gli arresti domiciliari al Cammareri né, per associazione di idee, quei legali che fecero stessa domanda per Totò Riina o per Binnu Provenzano a causa delle loro precarie condizioni di salute: fanno il loro mestiere.

Quel che noi, invece, censuriamo con la dovuta enfasi, è l’adottata misura in favore di un soggetto estremamente pericoloso, da parte di un organo dello Stato che dovrebbe, invece, proteggere i consociati onesti e laboriosi, non tanto immedesimandosi nelle sensazioni, nelle sofferenze di chi ha subito un male ingiusto, ma quantomeno nella applicazione razionale delle leggi vigenti in subiecta materia.

Chiediamo, quindi, in punto, un autorevole, doveroso intervento da parte dei destinatari della presente anche, per eventualmente accertare, come nota di colore, se la famiglia di questo delinquente, goda per mero caso, del cd. “reddito di cittadinanza”, ove non abbia voluto attingere all’ingente malloppo sottratto ai sottoscritti.

Evitiamo di far commenti sulle recenti scarcerazioni e/o attenuazioni di pena concesse a più di quattrocento delinquenti tra cui qualcuno che ha contribuito a far saponificare un dodicenne. I fatti si commentano da sé e suscitano un senso di vergogna per questo stato di cose gestito da governanti inadeguati.

Si chiedono consequenziali, immediati provvedimenti revocatori ed ispettivi.

Con osservanza.

Francesca Paola Maltese

Renato Salone

Condividi su:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commenta