L’assemblea provinciale di Libera ha confermato per acclamazione Salvatore Inguì alla guida del coordinamento di Trapani. Un riconoscimento che arriva dopo tre anni di intense attività sui territori e “benedetto” anche dal fondatore don Luigi Ciotti, che ha voluto presenziare ai lavori assembleari assieme alla dirigente nazionale Gabriella Stramaccioni e al coordinatore regionale Umberto Di Maggio.
Qual è il bilancio di questi tre anni e quali sono le linee guida che Libera intende darsi in provincia di Trapani nei prossimi mesi?
Le linee guida future riprendono quelle di questi anni. In assemblea abbiamo tracciato un quadro delle attività in corso, alcune delle quali hanno un carattere d’emergenza. Come per la collaborazione sul fronte dell’accoglienza degli immigrati che stanno arrivando sulle nostre coste. A Campobello e a Castellammare abbiamo una serie di attività che stiamo cercando di implementare assieme ad altre associazioni. Qui a Marsala, ogni giovedì, partecipiamo alle udienze del processo Eden, che vede imputati alcuni familiari di Matteo Messina Denaro. La presenza ai processi per noi è importante, è un segnale, è un modo per dire “ci siamo” e per ribadire che intendiamo essere vicini ai magistrati e alle forze dell’ordine. Continua contestualmente il nostro lavoro nei quartieri marginali che incontra spesso il lavoro sulla memoria. Lo scorso 27 giugno abbiamo ricordato la strage di Ustica assieme ai familiari delle vittime della provincia di Trapani e quest’anno, per la prima volta, abbiamo coinvolto anche i ragazzi di questi quartieri, come facciamo da anni anche con il memorial dedicato a Paolo Borsellino e agli agenti della scorta e in cui si ritrovano a giocare assieme alla polizia, ai carabinieri, a quelli che un tempo, magari, chiamavano “sbirri”. E’ anche da queste iniziative che passa un cambiamento culturale.
E’ cambiata Libera in questi anni?
Nella sua struttura essenziale no. Ci sono movimenti interni, momenti di stanchezza, di tensione, ma anche di euforia. O di soddisfazione, come nel caso del processo Rostagno, in cui siamo riusciti finalmente ad arrivare a un pezzo di verità. E’ per noi motivo di soddisfazione quando, come spesso accade ultimamente, molti cittadini si rivolgono a noi per parlarci di ingiustizie, di realtà oppressive. Si rivolgono a noi chiedendoci di fare da tramite con le istituzioni. Come se molta gente vedesse in Libera una protezione non armata, che aiuta a fare una scelta nella consapevolezza di non essere soli. Lo abbiamo sperimentato con i commerciati, assieme agli amici di Libero Futuro, ma anche con i testimoni di giustizia. Sono cose che spesso non sono di dominio pubblico, ma che ci impegnano quotidianamente e segnano un salto di qualità rispetto a una fase in cui gran parte della nostra attività ruotava attorno all’organizzazione di presentazioni di libri o eventi pubblici, comunque importanti.
E’ un periodo particolare per l’antimafia. Anche don Luigi Ciotti ha invitato ad abbandonare questa parola per utilizzarne altre, più adeguate ai tempi che viviamo. La sua presenza in assemblea provinciale, tra l’altro, è sembrato un segnale di vicinanza importante al territorio, in un momento in cui Libera sconta le difficoltà con i presidi di Castelvetrano e Calatafimi…
Quella di don Ciotti è comunque una provocazione, affinchè la parola antimafia non sia utilizzata in maniera vuota e retorica. Nei gruppi, poi, è chiaro che possono esserci momenti di stanchezza, divergenze di vedute…Certo, quando i litigi diventano manifesti pubblici non fanno bene all’interno e forniscono ulteriori occasioni ai tanti che da anni sono impegnati a screditare il lavoro di Libera, lasciando apparire tutta l’organizzazione nazionale come un covo di malfattori. Mi viene in mente quello che succede quando una coppia si lascia e l’indomani uno dei due comincia a tappezzare la città di foto compromettenti dell’altro…E’ un atto di disamore anche verso se stessi e verso quello che per anni è stato condiviso…Probabilmente, in alcuni momenti, la rabbia è tale che non ci fa valutare adeguatamente le conseguenze gravi che possono arrivare dall’esterno.
A proposito di esterno, Libera nasce per opporsi alla mafia. In provincia di Trapani, il peso delle infiltrazioni mafiose spesso si vede poco ma è ancora ben presente nel nostro tessuto sociale. Come si manifesta?
Si manifesta in mille modi. Si manifesta nella maniera più subdola possibile. Basta guardare la nostra realtà e le inchieste giudiziarie che coinvolgono soggetti che appartengono al potere politico e che presentano ambiguità forti. Recentemente sono state rese note le motivazioni del processo D’Alì: che una persona sia stata fino a un certo punto sia stato vicino alla mafia, ma in un tempo che consente il ricorso alla prescrizione, resta un fatto grave. Specie per un esponente politico che ha rivestito ruoli importanti ed è stato anche sottosegretario agli Interni. Così come per il processo Canino, chiuso con l’estinzione del reato per la morte dell’imputato. Ma nel dispositivo emerge qualcosa in più di una semplice connivenza. Il processo Rostagno ha messo in luce come taluni poteri occulti gestiscono la provincia, incontrandosi e spartendosi ogni cosa con un atteggiamento da impuniti. La mafia non è affare di coppole e lupare. Altrimenti sarebbe una banda armata di cui ci saremmo già liberati. Questo gruppo di armati non è che un anello di una catena più complessa in cui il potere politico, economico e imprenditoriale stanno assieme in perfetto equilibrio.
Nella mappa del potere locale, ci sarebbero anche pezzi della Chiesa locale, come spiegato in questi giorni dal procuratore Marcello Viola e come emerso dalle indagini che hanno portato all’arresto del direttore della Caritas di Trapani don Sergio Librizzi.
Laddove c’è la possibilità di lauti guadagni c’è un’attenzione precisa da parte di gruppi che pensano di poter ottenere vantaggi. L’ultimo caso è particolarmente drammatico, perché coinvolge una persona che avrebbe dovuto garantire una certa etica, una certa moralità. Sappiamo bene che il processo è da celebrarsi, ma il fatto stesso che una persona possa essere arrestata per fatti del genere, lascia sgomenti. Tutto ciò riguarda un certo modo di interpretare i bisogni della gente. La mafia e la corruttela approfittano dello stato di bisogno. Per questo dobbiamo tornare a parlare di un’antimafia che sia etica, ma anche sociale, che sia di supporto alle classi più deboli. Laddove non c’è lavoro e c’è fame, è più facile l’acquisto del voto ed è più facile anche il ricatto.