Chi soffia davvero sul fuoco della guerra? 

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

Chi soffia davvero sul fuoco della guerra? 

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lunedì 22 Dicembre 2025 - 07:26

Nonostante tutto intorno continui a raccontarci di Natale, la strana sensazione della guerra si avverte negli interstizi, sotto forma di un’inquietudine intercostale. Come se qualcosa ci stia sfuggendo di mano. Anche se non sappiamo bene cosa. O forse lo sappiamo troppo bene.

Reuters, colosso britannico dell’informazione, è una delle tre sorelle maggiori del giornalismo globale. Insieme ad Associated Press e Agence France-Presse forma quel triangolo quasi sacro che detta il ritmo dell’informazione mondiale. Migliaia di giornalisti, una rete planetaria, un’autorità che raramente viene messa in discussione. Per questo, la notizia arrivata ieri ha colpito come un pugno allo stomaco.

Mentre AP parlava di colloqui “costruttivi” a Miami tra la delegazione russa guidata da Kirill Dmitriev e quella americana guidata da Steve Witkoff e Jared Kushner, Reuters ha sganciato inaspettatamente una bomba. Secondo l’agenzia, che cita “sei fonti vicine all’intelligence USA”, Vladimir Putin non avrebbe affatto abbandonato gli obiettivi iniziali della sua guerra: non solo conquistare l’intera Ucraina, ma anche rivendicare parti dell’Europa appartenute all’ex impero sovietico. Ed ecco così svelati, i veri piani dell’autocrate russo.

La notizia, firmata da tre reporter esperti, è rimbalzata ovunque, gettando analisti e osservatori in uno stato di frustrazione, se non di smarrimento. Non era il momento giusto. Non ora, mentre i colloqui di Miami sembravano aprire un minimo spiraglio: una tregua natalizia, forse un cessate il fuoco, almeno un primo passo verso garanzie di sicurezza per Ucraina, Europa e mondo. E invece, come un fulmine a ciel sereno, arriva il dispaccio Reuters, rilanciato senza battere ciglio da diverse altre testate: U.S. News & World Report, The Jerusalem Post, The Times of India. Persino MSN, l’aggregatore di notizie di Microsoft, lo ripropone, seppur nel contesto della smentita – dura e immediata – di Tulsi Gabbard, la direttrice dell’Intelligence nazionale USA. Ed è a questo punto che la narrazione cambia direzione, ma senza dissipare i timori di una escalation sempre più concreta fra Occidente e Russia.

Chi è Tulsi Gabbard, e perché – suo malgrado – si trova al centro di questo intreccio ? E chi è che – a questo punto – attraverso un’agenzia di stampa autorevole, sta cercando di sabotare il difficile processo di pace in corso?

Tulsi Gabbard è una politica e militare hawaiana di lungo corso, cresciuta nell’area progressista, vicina a Bernie Sanders, poi sostenitrice di Joe Biden, fino ad approdare al Partito Repubblicano di Donald Trump. Una figura complessa, che negli anni ha assunto posizioni sempre più conservatrici su temi interni come aborto, diritti delle persone trans e sicurezza delle frontiere. Nel 2025 viene nominata Direttrice dell’Intelligence Nazionale degli Stati Uniti, a capo delle 18 agenzie di intelligence USA. È lei a smentire apertamente la ricostruzione Reuters, accusando l’agenzia di diffondere “notizie false e tendenziose” utili solo a “sabotare gli sforzi diplomatici del presidente Trump”.

In una nota su X scrive che i “guerrafondai del Deep State” e i loro media starebbero cercando di ostacolare gli sforzi di pace, diffondendo falsità secondo cui la comunità dell’intelligence USA concorderebbe con la narrativa UE/NATO sull’intento russo di invadere l’Europa. È un linguaggio inquietante, da guerra interna, oltre che da guerra esterna.

Aggiunge poi, a supporto delle sue tesi, che l’intelligence statunitense ritiene che la Russia non abbia nemmeno la capacità di conquistare e occupare l’Ucraina, figuriamoci l’Europa. Smentendo categoricamente che la Russia possa essere interessata a cercare un conflitto diretto con la NATO, viste le sue limitate capacità militari e i rischi esistenziali che ciò comporterebbe per sé stessa

La sua smentita, per quanto categorica, non basta però a rassicurare. È invece inevitabile chiedersi se qualcuno, dentro o attorno agli apparati di sicurezza, stia usando i media come cassa di risonanza per orientare l’opinione pubblica, irrigidire le posizioni e sabotare i negoziati. Certo, è una domanda che fa tremare le vene ai polsi, perché implica che la guerra non sia solo un conflitto, ma un ecosistema di interessi che si autonutrono.

E dunque, di grazia, chi a questi punto vuole davvero la guerra in Europa e all’interno della Nato? Chi sta soffiando senza tregua verso una contrapposizione sempre più frontale tra Occidente e Russia?

Domanda dalla risposta difficile. Se in teoria a nessuno converrebbe una guerra distruttiva e rovinosa, quello che in pratica si delinea, nelle varie cancellerie, così come nelle stanze che contano della Commissione Europea, è piuttosto un intreccio contrastante di interessi, paure, strategie ed asimmetrie di potere. E per quanto la realtà della guerra “vera” sembri irreale, il rischio è che la guerra, invece, diventi una possibilità reale, quando questi elementi si sovrappongono.

In prima fila, pronti alla guerra, ci sono loro, i Paesi baltici e la Polonia, con governi memori di un passato prossimo e recente, a spingere per una linea durissima contro la Russia, convinti che ogni cedimento porti a un’ulteriore avanzata di Putin. Allo stesso tempo, il complesso militare‑industriale europeo pare prosperare nei contesti di alta tensione: basta guardare l’andamento del settore difesa on Borsa – principalmente le tedesche Rheinmetall e Thyssenkrupp, le francesi Dessault Aviation e Thales Group, l’italiana Leonardo, la svedese Saab e la spagnola Indra sistemas – per percepire quanto la paura possa diventare, anche, un mercato molto redditizio.

Inoltre, ampi segmenti dell’intelligence occidentale continuano a leggere la Russia come minaccia strutturale, utile a giustificare budget, programmi, cooperazioni rafforzate. Non è tutto. Diversi reportage hanno mostrato recentemente come numerosi think tank atlantisti, soprattutto statunitensi, spesso finanziati da governi o dall’industria della difesa, abbiano moltiplicato rapporti e iniziative incentrati sulla difesa nazionale degli stati europei contro la “minaccia russa”, contribuendo a consolidare un clima di allarme permanente.

Chi scrive, vuole credere che la guerra, in sé, non possa essere mai davvero desiderata. Nonostante, sia chiaro, a nessuno sfuggano le responsabilità dell’aggressore russo e gli orrori perpetrati dagli invasori nei confronti della popolazione civile ucraina. Ma è difficile ignorare il fatto che una strategia di tensione costruita e alimentata giorno dopo giorno da NATO e UE possa sfuggire di mano, innescando davvero la miccia per l’irreparabile. E questo, forse, è ancora più inquietante della guerra stessa: l’idea che si possa scivolare in un conflitto non tanto per decisione, ma per inerzia.

La domanda più scomoda, però, è un’altra: chi teme la pace più della guerra? Domanda scorretta, ma che ha un fondamento. In breve. Una pace negoziata legittimerebbe la Russia come attore, obbligherebbe l’Europa a ripensare la propria architettura di sicurezza, renderebbe forse meno centrale il programma di riarmo al 2030, ridurrebbe la dipendenza dall’ombrello USA, aprirebbe crepe interne nella NATO, toglierebbe argomenti a chi vive di “minaccia permanente”.

Possiamo scommettere che esistono diversi attori per i quali la pace sarebbe destabilizzante quanto la guerra. E che agiscono di conseguenza, con obiettivi precisi, raramente compatibili con la vita concreta delle persone che, al fronte o sotto le bombe, pagano il prezzo più alto. Chissà se costoro abbiano mai analizzato a fondo le conseguenze in cui l’incubo di una guerra mondiale, potrebbe precipitare il pianeta. Forse non abbastanza.

Proprio per questo, da un’agenzia autorevole come Reuters ci si aspetterebbe prudenza e professionalità al di sopra degli standard. Citare fonti anonime, su un argomento così delicati, in un momento così delicato, non è solo una caduta di stile. Ma lascia un retrogusto amaro: non tanto per l’errore in sé, quanto per ciò che suggerisce del nostro ecosistema informativo. Quando anche i più autorevoli custodi della notizia iniziano a giocare con il fuoco, significa che il rischio di bruciarsi non è più astratto. È stato messo già nel conto. Sereno natale a tutti.

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