Cronache da un altro mondo: il Viaggio dell’Alieno Razionale nel Pianeta della Umana Follia

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

Cronache da un altro mondo: il Viaggio dell’Alieno Razionale nel Pianeta della Umana Follia

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sabato 30 Agosto 2025 - 06:30

Premessa doverosa. “Cronache da un Altro Mondo” è un racconto immaginario che mette in scena una missione antropologica extraterrestre. Un alieno razionale, proveniente da un sistema governato da logica e armonia, atterra sulla Terra per osservare il comportamento umano. Il suo sguardo, analitico e privo di emozioni, restituisce un mosaico di contraddizioni e paradossi. Non è fantascienza, ma uno specchio: un modo per guardarci da una distanza utile, dove l’assurdo emerge senza giudizio. Tra ironia e disorientamento, il racconto ci invita a riflettere su ciò che chiamiamo “normale” e su come l’abitudine riesca a mascherare l’inspiegabile.

Diario di bordo, stella 16 mg75, orbita terrestre. L’alieno, proveniente da un sistema stellare dove logica e armonia governano la vita, atterra sulla Terra con l’entusiasmo di un giovane ricercatore. Il suo obiettivo? Catalogare le peculiarità del genere umano. Dotato di un algoritmo di tolleranza avanzatissimo, si prepara a osservare con mente aperta e cuore neutro. Le prime ore scorrono tranquille. Guerre, confini contesi, lotte di potere: tutto sommato, comprensibile. L’alieno lo archivia sotto la voce “Normale Amministrazione”. Un po’ primitivo, certo, ma coerente con l’istinto di sopravvivenza. Nulla di troppo scandaloso.

Poi, però, la missione prende una piega cupa. L’alieno scopre l’esistenza di crimini contro i bambini e le donne: violenze, abusi, stupri, pedofilia. Qui il suo algoritmo vacilla. Non riesce a trovare una logica, nemmeno distorta. La sua indignazione, pur priva di emozioni umane, si manifesta in un picco di calore nei circuiti. Annotazione nel diario: “Devianza non catalogabile. Dolore non simulabile. Vergogna collettiva consigliata.”

Nel tentativo di distrarsi, l’alieno si dedica all’osservazione culturale. Ma qui inciampa in un altro enigma: il pupazzo Labubu. Un oggetto brutto, inquietante, a metà tra un errore grafico e un incubo infantile, idolatrato da milioni di umani. Lo si porta ovunque: appeso a borse, zaini, chiavi. L’alieno lo analizza da ogni angolazione, lo sottopone a scansione molecolare, lo confronta con le icone sacre del proprio pianeta. Nulla. Nessun valore estetico, simbolico o funzionale. Solo isteria collettiva. Annotazione: “Fenomeno virale. Epidemia del gusto. Rischio contagio.”

Poi arriva il colpo di grazia. L’alieno scopre un gruppo online dove migliaia di mariti condividono foto intime delle proprie mogli, senza consenso. Qui il suo sistema entra in crisi. Rivede al rallentatore la sequenza logica: amore → protezione → rispetto → esposizione pubblica → eccitazione altrui → eccitazione propria. Il circuito si spegne. Annotazione: “Algoritmo di Coerenza Etica in tilt. Paradosso affettivo. Amore come spettacolo. Umano uguale voyeur.”

In cerca di sollievo, l’alieno osserva una famiglia in pizzeria. I genitori discutono animatamente dei massimi sistemi (calcio e intrattenimento come anestesia sociale) mentre i bambini, di due o tre anni, sono ipnotizzati da tablet e smartphone. Musichetta, TikTok, YouTube. Nessun controllo. Occhi vitrei, posture da zombie. L’alieno registra un’anomalia cerebrale precoce. Annotazione: “Infanzia interrotta. Educazione delegata allo schermo. Dipendenza precoce. Genitori assenti, presenti solo nel Wi-Fi.”

Una volta cresciuti però, i ragazzi si libereranno dalla dipendenza digitale? Macché.

Girando per i giardini pubblici, l’alieno si stupisce di non trovare il trambusto che si aspettava. Nessuna voce, nessuna risata, nessun litigio. Dove sono finiti tutti? Dopo ore di ricerca, scorge finalmente un gruppetto di adolescenti radunato attorno a un paio di panchine. Si avvicina curioso. C’è qualcosa di strano. Sono in religioso silenzio. Raccontano una storia? Stanno provando per la recita di fine anno? No. Sono piazzati davanti agli smartphone, intenti a mandarsi messaggi. Interagiscono e ridono sguaiatamente a singhiozzo fra di loro, come pazzi. Nessuno parla dal vivo. Nessuno si guarda negli occhi. L’alieno analizza i flussi di dati: stanno comunicando, sì, ma attraverso schermi, pur essendo in presenza. Annotazione: “Socialità simulata. Presenza assente. Risata asincrona. Umano come spettro digitale.”

L’alieno si ferma. Non per guasto, ma per logica. Ha osservato, registrato, analizzato. Ora si chiede se comprendere l’umano sia davvero possibile. Il caos sembra regola, l’incoerenza una costante. Annotazione: “Sospensione temporanea. Necessità di contemplazione. Limite raggiunto.”

È sera. Grazie ai suoi poteri bionici, l’alieno riesce a vedere attraverso il muro dei suoi vicini di casa. Scorge un uomo maturo, un marito, impegnato al PC mentre tutti dormono. Si infervora, spinge i tasti della tastiera come fosse un invasato, beve caffè e si rituffa nel lavoro. Lavoro? A ben guardare, sta scrivendo in una chat. Con lo zoom bionico, l’alieno riesce a isolare diverse frasi: sono violente, accusatorie, deliranti. Si parla di rettiliani, di terra piatta, di umanità in ostaggio da parte di uomini di un altro pianeta. L’alieno ha quasi un mancamento. Annotazione: “Delirio non contenuto. Assenza di filtro razionale. Nessuna struttura sanitaria in vista. Civiltà in stato di allucinazione permanente.”

All’alba del secondo giorno, passeggiando depresso e sconsolato per la città, l’alieno nota un numero spropositato di sale gioco. Inizialmente pensa: “Finalmente un luogo di raccolta dove si impara lo sport e le regole della convivenza civile.” Ma poi scopre la realtà: semi clandestinità, dipendenza, rovina economica. Giovani, padri, nonne: tutti in attesa di un numero del Lotto che non esce mai. E lo Stato? S’interroga. Non solo non argina, ma pure tassa. Poi però, lancia campagne contro la ludopatia. L’alieno si blocca. Annotazione: “Schizofrenia istituzionale. Stato come dealer. Gioco come trappola. Ironia tragica.”

A questo punto, l’alieno capisce. Non è pronto. Non è equipaggiato per comprendere l’essere umano. Troppa incoerenza, troppa crudeltà mascherata da normalità, troppa idolatria del brutto, del vuoto, del dannoso. Carica i suoi strumenti, cancella i dati, disattiva la memoria. Non vuole portare con sé nemmeno un byte di ciò che ha visto. Mentre la Terra dorme, lui decolla. Silenzioso, discreto, deluso. Annotazione finale: “Specie non compatibile. Ricerca interrotta. Prossima destinazione: speranza.” E così, il nostro alieno razionale lascia il pianeta blu, non con rabbia, ma con un’amara ironia. Perché, in fondo, l’uomo è il solo animale capace di distruggere ciò che ama, idolatrare ciò che lo degrada, e chiamare tutto questo: progresso. Fine del rapporto. O forse, inizio della domanda.

L’alieno se n’è andato. Ha spento i suoi sensori, cancellato i dati, e ci ha lasciati soli con le nostre incoerenze. Ma noi restiamo. E forse, proprio perché siamo imperfetti, possiamo ancora invertire la rotta. Questo racconto non è un atto d’accusa moralistico, ma un segnale di consapevolezza. La follia che l’alieno non riesce a decifrare è la stessa che ci rende umani: capaci di distruggere, certo, ma anche di creare, di amare, di reinventarci. Se un giorno l’alieno tornerà, spero trovi un mondo meno assurdo e più gentile. E se lui non tornerà, che almeno impariamo noi ad osservarci da fuori. Ci farebbe solo tanto bene.

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