Doctor Jekyll e Mister Hyde: lo strano caso del siciliano

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

Doctor Jekyll e Mister Hyde: lo strano caso del siciliano

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domenica 17 Agosto 2025 - 06:45

C’è un momento preciso, quasi mistico — ma anche matematico e necessario — in cui il siciliano, in viaggio per la prima volta all’estero, comincia la sua metamorfosi. Non appena metterà piede a Vienna, Amsterdam, Lubiana o in una cittadina sperduta della Baviera, qualcosa dentro di lui si risveglierà. Quel senso di inconscia insoddisfazione, quella rabbia repressa e apparentemente immotivata, affiorerà con tutto il suo amaro retrogusto.

Ed ecco che, a poco a poco, davanti ai suoi occhi increduli si dipanerà una realtà tanto amara quanto illuminante. Camminerà per strade pulite come sale operatorie, osserverà aiuole curate come bonsai zen, noterà cestini della spazzatura agli angoli delle strade, ordinati e ben tenuti con la precisione di un chirurgo svizzero. Non sentirà il fastidioso rumore dei clacson. Noterà che nei locali pubblici, o anche semplicemente per le strade, i decibel della voce si riducono sensibilmente. Ammirerà file ordinate e silenziose, invidiandole senza pietà per se stesso. Si sorprenderà a guidare su corsie perfettamente disegnate e segnalate da cartelli precisi, e si stupirà persino dell’assenza di erbacce lungo le stradine più periferiche.

Tutto ciò, a prima battuta, non gli sembrerà vero. Ed è solo dopo aver digerito l’amaro boccone, tra lo stupore e il sollievo, che griderà fra sé e sé: “Eureka!” Con l’inevitabile confronto, si farà strada una certezza martellante: “Ma allora si può fare?” Esiste dunque un modo per far funzionare le cose? Est modus in rebus!

Il gap c’è, inutile nasconderlo. Eppure non può essere solo una questione di abitudine o di qualsiasi altra natura (senza voler scomodare qui storia, filosofia, psicologia e scienze umane). Il problema è profondo, ampio e strutturale: riguarda un intero ecosistema di decoro ed educazione pubblica che, altrove, pare funzionare come un’orchestra sinfonica, dove ogni elemento — dal verde urbano alla viabilità, dalla pulizia stradale alla manutenzione — suona in armonia. In Sicilia, invece, quella risultante somiglia più a una jam session di dilettanti ubriachi, dove ognuno improvvisa, spesso stonando, senza che nessuno sappia davvero come dirigere l’orchestra.

Prendiamo il verde pubblico: in Europa è progettato con cura, mantenuto con regolarità, vissuto con rispetto. È parte integrante dell’identità di una comunità, simbolo di civiltà e benessere. In Sicilia, troppo spesso, è abbandonato a sé stesso, vandalizzato o trasformato in parcheggio abusivo, come se fosse uno spazio residuale anziché un bene comune. Uno degli ultimi rapporti ISTAT (Today, 26 febbraio 2025) indica chiaramente una crescente preoccupazione per le tematiche ambientali da parte degli italiani, specie sull’inquinamento del suolo, acustico ed elettromagnetico. Ebbene, la preoccupazione più forte emerge al Sud rispetto al Centro e al Nord Italia. Un dato che parla da sé. Ma in cosa si traduca questa “preoccupazione e sensibilità” non è ancora dato sapere.

Prendiamo le strade. Prima di parlare di viabilità interna, bisognerebbe partire dall’ABC: asfaltare decentemente, ad esempio, quelle poche che ci sono. Magari prendendo esempio da paesi che non figurano nemmeno tra le potenze economiche del continente, ma che riescono comunque a garantire una rete stradale più che dignitosa. Non serve aggiungere la lista dei paesi più virtuosi del nostro. Dopo averle pavimentate, bisogna poi mantenerle pulite, curate, segnalate. Altrove, dopo una notte di movida, le strade vengono lavate, spazzate, rimesse in sesto. Da noi, purtroppo, troppo spesso no: il giorno dopo è solo il prolungamento del disordine.

E se già questo quadro appare sconfortante, meglio non addentrarsi nel capitolo infrastrutture. Il confronto con la qualità delle autostrade, delle vie di grande comunicazione, dei ponti, delle rotonde e delle bretelle (ma anche dei porti, delle ferrovie, dei mezzi di trasporto leggeri e pesanti — continuiamo?) sarebbe semplicemente impietoso. Un confronto che relega la Sicilia al ruolo di Cenerentola d’Europa, non per mancanza di potenziale, ma per cronica incapacità di valorizzarlo. Fattivamente.

Volenti o nolenti, è questa la fama che ci siamo ritagliati, all’estero ma anche in diverse aree del nostro Paese: quella di indolenti procrastinatori. E mi fermo qui. Ovviamente, dimensione pubblica e privata spesso si mescolano indissolubilmente. E dove comincia l’una finisce l’altra, e viceversa.

Eppure, l’homo sicilianensis all’estero diventa un cittadino modello. Non getta mozziconi, non parcheggia in terza fila, non sgasa al semaforo, non usa il clacson come fosse uno strumento musicale. È il vicino di casa che tutti vorrebbero: educato, rispettoso, perfino bacchettone. Pretende e reclama i propri diritti, quando li vede in pericolo o calpestati. Giusto, come dovrebbe essere, nel migliore dei mondi possibili. Ma c’è una buona probabilità che questo stesso cittadino, appena rientrato in patria, mostri l’altro lato: il suo Mister Hyde. Ed ecco la metamorfosi: il mozzicone, come preso da incanto, si deposita impunemente sul marciapiede. E i propri diritti? Troppo spesso cincischiano, prigionieri di spiacevoli amnesie. Come dire: un DNA civico soggetto a geolocalizzazione, che muta radicalmente a seconda di dove ci si trovi.

Le responsabilità del cittadino sono evidenti e innegabili. Ma davvero possiamo continuare a dare tutta la colpa ai cittadini, quando chi dovrebbe guidare il cambiamento è il primo a disertarlo? Il pesce marcisce dalla testa, e in Sicilia spesso il fetore arriva dalle stanze del potere. Il vero disastro parte dall’alto: dalle amministrazioni locali, a seconda delle competenze, dal comune passando per le province o consorzi territoriali, fino alla regione. Quelle che dovrebbero essere fari di civiltà, esempi virtuosi, spesso invece si rivelano lanterne spente in una notte buia e tempestosa.

Eppure, ogni tanto, come apparizioni mariane, emergono borghi virtuosi, paesi modello, amministrazioni che fanno semplicemente il proprio dovere. E lì il siciliano vero si commuove, come davanti a un miracolo: “Ma allora si può fare anche qui!” Non è la linea della palma di Sciascia a condannarci. È la nostra rassegnazione. È il nostro silenzio. È il nostro voto dato per abitudine o per inerzia, per negligenza, per disperazione, in attesa di ottenere un beneficio che non arriverà mai.

Cosa si può dire o consigliare dalle colonne di un pezzo che nasce esclusivamente dal profondo amore per la propria terra? Che forse, la prossima volta che, passeggiando per Copenaghen o per una cittadina del Trentino, sentiremo quella sana invidia, non è il caso di reprimerla. È il segnale che qualcosa dentro di noi si è svegliato. Dopo lo stupore e la frustrazione, venga pure la rabbia. Dopo la rabbia, l’azione. E lì le azioni si restringono, ma non per questo sono meno importanti. Perché alle urne, come diceva qualcuno, raramente un facocero si trasforma in pavone. Evitare di votare il facocero è già un buon metodo per cominciare a sconfiggere la frustrazione.

In Sicilia, Jekyll e Hyde sono due facce della stessa medaglia. Spiegano con imbarazzante semplicità ed immediatezza, più di qualsiasi trattato di filosofia, l’idiosincrasia del siciliano.

E forse, proprio lì, nello specchio di questa doppia identità, si nasconde la chiave. Non per guarire, ma almeno per cominciare a capire.

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