Turismo low cost: anatomia di un sogno

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

Turismo low cost: anatomia di un sogno

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venerdì 15 Agosto 2025 - 06:45

C’era una volta il vero turismo low cost. Quello autentico. Quando bastava un volo a € 19,99, una stanza spartana con bagno in comune e un panino consumato su una panchina per farti sentire cittadino del mondo.

Poi qualcosa si è incrinato. O meglio: si è gonfiato. I prezzi, le tasse, le commissioni. Le tariffe “dinamiche”, le esperienze “immersive”, i lettini a 30 euro. Il viaggio, da scoperta è diventato prodotto. Da libertà è diventato consumo. E quel senso di leggerezza si è perso, soffocato sotto uno spesso strato di marketing e algoritmi.

Oggi il turismo low cost è un mito da archeologia contemporanea. Un sogno dei tempi andati ricoperto da una montagna di cavilli, sovrapprezzi e optional a pagamento. Non è morto di vecchiaia, forse di eccesso di offerta oltre che di fame di guadagni. E mentre le famiglie continuano a inseguirlo, il sogno si tinge delle venature dell’incubo.

Estate, periodo di vacanze. Tra salari stagnanti, un’inflazione galoppante e un paio di guerre che gonfiano bollette e carburante, il viaggio vacanziero diventa un’equazione di terzo grado. Seconda solo all’esercizio dell’ossido-riduzione, quello che al liceo non tornava mai.

I voli “low cost” hanno messo il turbo ai prezzi (fino al +40% rispetto al periodo pre-Covid) e, pur viaggiando a tariffe da compagnia di bandiera, offrono lo stesso comfort di un pollaio mal assortito e di periferia: sedili pressopiegati, rotule appiattite e la sensazione di trovarsi in un bazar turco. Con il personale di bordo, tra snack, profumi, gratta e vinci e lotterie, diventato più imbonitore da televendita che assistente di volo. Non sanno più cosa inventarsi: manca solo un’asta del duty free e una bisca clandestina a bordo. Per il resto c’è tutto.

Una volta atterrati si inizia con il safari al portafoglio. Prezzi impietosi: autonoleggio a non meno di 500 € a settimana per una city car (il doppio con casco full optional), seggiolino bimbi extra, secondo guidatore extra, benzina extra. I graffi invisibili, quasi immaginari, appaiono come per magia al check-out, puntuali come la morte. Solo la minaccia di un avvocato internazionale li fa desistere. Oltre a controllarla attentamente, consiglio vivamente di fare sempre un servizio fotografico all’auto appena noleggiata. Ormai alcune compagnie lavorano sulle disattenzioni dei clienti, sulla loro bassa guardia estiva.

Nel ring degli alloggi, non importa che tipo di guantoni hai portato: tra prezzi, commissioni, quota di pulizia (negli appartamenti) e city tax, tariffe dinamiche e piattaforme che trattengono fino al 20–25%, la camera doppia che una volta “si spuntava” con 50–60 € richiede adesso non meno di 100–120 euro a notte, anche per destinazioni dove prima bastava un sorriso e la promessa del pagamento a fine vacanza (Grecia, litorale pugliese, Sicilia).

In spiaggia, se quella è la vostra destinazione, il colpo di sole è incluso nel listino. In Romagna e in Toscana, lidi semivuoti raccontano di ombrelloni a 25 € cadauno e lettini a 20 € al giorno. Ad Avola (non Forte dei Marmi), due lettini e un ombrellone non vanno mai sotto i 40 €. Auguri. Per non parlare dei parcheggi blu a tariffe da Champs-Élysées, docce a gettone e cabine “premium” con appendino come optional… Fortunati quelli che non hanno il mito dei lidi e preferiscono ancora le spiagge libere. Che ovviamente si assottigliano anno dopo anno, come l’erosione del potere d’acquisto degli stipendi.

A tavola si gioca a mosca cieca tra trattorie vere e ristoranti-trappoloni con menù turistici fotocopiati, pesce plastificato, carne come in un menù a tendina, a scomparsa, e ricarichi sul vino che salgono fino al 400–500%. Tra qualità e prezzi alle stelle, non è un mistero che molte famiglie preferiscano fare la spesa e alternare il pranzo cucinato nel monolocale alla cena in osteria, almeno a giorni alterni, pregando che il coperto non comprenda anche l’aria da respirare.

Musei e parchi? Un disastro. I musei italiani, un tempo baluardi della cultura accessibile, oggi figurano tra i più costosi d’Europa. Mentre nel Regno Unito l’ingresso alla maggior parte dei musei è gratuito, in Italia quattro biglietti per gli Uffizi o i Musei Vaticani possono facilmente superare i 100 euro. E non va meglio nei parchi divertimento, dove il prezzo di un singolo ingresso può sfiorare — o superare — i 100 euro. Disneyland Paris, Gardaland, Legoland, Europa-Park: tutti allineati su cifre che fanno girare la testa.

Ma il vero colpo arriva dopo: salta-fila, audioguide, esperienze “immersive” da pagare a parte, e il classico panino gommoso con bottiglietta da 33 cl venduti al prezzo di una reliquia. Per un pasto al self-service, stile mensa universitaria, si rischia di dover accendere un mutuo.

In questo panorama, il caro vecchio Prater di Vienna resta un’eccezione virtuosa: ingresso libero e formula pay-as-you-go. Paghi solo per ciò che provi — 4 o 5 euro a giostra — un approccio che consente una gestione più flessibile e sostenibile delle spese.

Le visite mordi-e-fuggi ai grandi classici europei—Neuschwanstein, Schönbrunn, Windsor, Chenonceau, il castello di Edimburgo—somigliano più a una gara di velocità che a un viaggio culturale: corridoi affollati come metropolitane all’ora di punta, guide paralizzate tra copioni e orologi, emozioni ridotte a scatti cronometrati. Intanto le icone globali sono diventate set permanenti per selfie a cielo aperto, attraversati da orde di barbari spesso poco rispettosi, per usare un eufemismo, del decoro urbano. La Grand Place a Bruxelles, Marienplatz a Monaco, la Rambla a Barcellona, la Sagrada Familia, Trinità dei Monti, l’Acropoli di Atene, Buckingham House, Times Square, Piccadilly Circus… tutto un suk a cielo aperto dove la pazienza si paga al minuto.

Nel frattempo, per arginare la minaccia di overtourism, le amministrazioni provano a mettere ordine con tasse di soggiorno spesso a due cifre, contributi di accesso (come a Venezia in alcune giornate), fasce orarie sulle mete-alveare (Seceda docet) e limiti ai pullman nei centri storici. Ma è come fare il vigile con un fischietto di caramella: con il risultato che arrivano le ZTL punitive, multe istantanee salatissime, pedaggi autostradali in salita, parcheggi aeroportuali da capogiro, sovrapprezzi per il bagaglio a mano, check-in cartaceo sanzionato, scelta del posto a pagamento, bagno pubblico a un euro, nelle capitali del Nord.

E se rinunci all’aereo? Dalla Sicilia e da buona parte del meridione è impossibile. Per noi meridionali, il mondo pare cominciare da Roma in su: mentre il treno ad alta velocità gioca alla roulette russa con i prezzi dinamici, gli Intercity spesso, come vagoni merci, traboccano all’inverosimile; i bus low cost tipo Flixbus o Flibco sono pieni ancora prima di trovare l’offerta. E quando li trovi, sono sempre in mostruoso ritardo. Impossibile pianificare con bambini.

“Alternative” low budget? Campeggi e camper per chi apprezza il genere, ma tra piazzole sold out e listini da boutique, ostelli che chiedono cauzioni degne di un Rolex, bike sharing e monopattini che in agosto costano come uno scooter d’epoca, dove vai? Nel frattempo gli operatori, stretti tra costi energetici e staff da pagare, rincarano per sopravvivere; le piattaforme chiedono vetrina e percentuali; i governi sognano PIL da turismo, i sindaci oscillano tra amore/odio nei confronti dei visitatori, e la classe media—quella che un tempo era il motore del Paese—si ritrova col contagocce: conti fatti e rifatti, micro-rinunce quotidiane, la caccia a un gradino d’ombra dove addentare un panino con la mortadella senza sentirsi fuori posto.

In definitiva? il modello low cost è tramontato, quello di massa è imploso su se stesso, i costi hanno superato la soglia del buon senso e le famiglie, pur non rinunciando al viaggio, sono costrette a ridurre aspettative e giorni, a spezzettare le esperienze, a fare file per risparmiare pochi euro. Resta la malinconia per un passato più semplice, quando si programmava una vacanza normale, dignitosa, riposante, a misura di uomo.

Non ci resta forse che fare come il buon Fantozzi: auto stipata, panino al salame, sogni proporzionati e una gita fuori porta. Perché alla fine, la felicità non è un pacchetto premium a Sharm el-Sheikh o alle Seychelles. Ma trovare posto all’ombra di un pino e sentirsi finalmente in vacanza con la mente. Con se stessi e i propri cari.

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