Storia di Marsala, chi erano i fratelli Girolamo e Rocco Italia

redazione

Storia di Marsala, chi erano i fratelli Girolamo e Rocco Italia

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martedì 05 Novembre 2024 - 11:52

Il prof. Antonino Sammartano torna a raccontare un altro episodio storico questa volta accaduto a Marsala nel 1796, che vede come protagonisti i fratelli Girolamo e Rocco Italia, esponenti di una famiglia aristocratica marsalese. Don Girolamo Italia ricopriva quell’anno la carica di Vice intendente del Fondo dei Lucri ( Fondo che amministrava castelli e piazzeforti). Egli il 22 Marzo del 1796 scriveva una lettera al suo superiore di Palermo, Sig. Cav. Ferdinando Peiteado, Colonnello degli Eserciti di Sua Maestà, ( Il motivo per cui si rivolgeva al colonnello era il fatto che Don Girolamo fruiva del Foro Militare) per informarlo di una grave offesa che lui e suo fratello avevano ricevuto da un certo Filippo Paci, “giovane di vile estrazione, senza esercizio di alcun mestiere, scapestrato, e facinoroso”.

Ecco il fatto: Un suo servitore si era recato a comprare del pane, e avendolo trovato di “mala qualità”, faceva una semplice minaccia di voler ricorrere ai Giurati di Marsala. Era presente alla scena Filippo Paci, che “senza essere parente del fornaro, diede una fiera guanciata al servo dei fratelli Italia, e lo fece cadere a terra, ove messogli il piede sopra il collo”, e se non accorreva la gente che aveva sentito le grida del servo, chissà come gli sarebbe finita.

Don Girolamo Italia, venuto a conoscenza del fatto, e accertatosi che il servo non aveva dato alcun motivo per scatenare l’aggressione del Pace, non perdeva un attimo di tempo ad “avanzar querela a questa Corte Capitanale per li sofferti vilipendj”. Egli trovava il Capitano di Giustizia nel “Piano della Loggia, ove risiede, e passeggia tutta la Gente pulita, ed ogni ceto”. Don Girolamo si recava dal Capitano assieme a suo fratello Don Rocco. Nell’atto di fare la denuncia per chiedere la cattura del “baldanzoso Paci per la dovuta soddisfazione e per il meritato castigo, si fece avanti lo stesso di Paci, e come temerario più del troppo, gli diè d’animosità di dire al Capitano, a me, ed a mio fratello, che se non lo lasciamo libero, senza far uso degli fatti oltraggi, era per uccidere in qualche giorno a me, e mio fratello. Al che, sdegnatosi altamente il Capitano si dichiarò di volergli far pagare il fio per tanta baldanza”. A questo punto il Paci, sentendo ciò, e voltate le spalle, prese un coltello “dritto, lungo, e largo e si lanciò contro me”. Ma nel parapiglia Don Girolamo riuscì a fuggire e a disperdersi tra la folla che passeggiava nella Piazza Loggia. Il Paci si lanciò allora contro Don Rocco, ma fortunatamente , grazie all’aiuto di molta gente, riusci a salvarsi.

Ma la rabbia di Filippo Paci non si era placata ed era intenzionato a portare a termine la sua azione punitiva nei confronti dei fratelli Italia. Egli si recò da un armiere per comprare uno schioppo. Questi avendo saputo quello che era successo, si rifiutò di venderglielo. Ma nonostante il rifiuto dell’armiere, il Paci prese con la forza uno schioppo, che si trovava nella bottega a portata di mano, ed uscì, dirigendosi verso la casa dei fratelli Italia con l’intenzione di uccidere entrambi. Giunto sotto la loro casa, fu costretto a rinunciare al “depravato disegno per la molta gente solita abitare nel Piano vicino alla mia casa, e andò finalmente a rifugiarsi in Chiesa”. A questo punto al Capitano di Giustizia non restò altro, dopo aver ottenuto il permesso dal Foro Ecclesiastico, di arrestare il Paci e trasferirlo nel Castello di Marsala. Nella lettera al Colonnello, Don Girolamo Italia metteva in evidenza il fatto che il Paci per qualche anno era stato imbarcato in una nave corsara e ciò aveva contribuito a determinare il suo carattere prepotente e arrogante. Egli quindi, secondo Don Girolamo, aspettava l’occasione per far mostra della sua “possanza, anche con i superiori”.

Don Girolamo Italia concludeva la sua lettera supplicando il Colonnello di far sentire “presso i Ministri competenti tutta l’autorità conferitale dal Sovrano affinché il caparbo di Paci riportasse i più severi, e rigorosi castighi, che siano corrispondenti all’enormità dè commessi delitti”. Il 20 maggio 1796 venivano inviati al Sig. Avvocato Fiscale di Palermo tutta la documentazione per celebrare il processo a carico di Filippo Paci. Purtroppo dai documenti a nostra disposizione non sappiamo l’esito finale di questo processo,

Fonte: A,S.P, Fondo dei Lucri vol. 106

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