Basta pannicelli caldi. Per salvare l’aeroporto di Birgi non serve indire un “concorso di idee” né continuare a fare chiacchere inutili. Servono concretezza e pareri di esperti che indichino il cammino, così come auspicato dal Presidente Sicindustria Delegazione di Trapani, Gregory Bongiorno. Fra possibili reti di imprese e stratagemmi salva Birgi, lo spaccato reale della realtà produttiva del territorio segna settori in crescita ed export in espansione ma crisi profonda per il rinomato marmo di Custonaci
Presidente Bongiorno, questa cordata di imprese, o meglio questa auspicata “rete di imprese” di cui ha parlato Salvatore Ombra per salvare l’aeroporto “Vincenzo Florio”, si farà?
È difficile coinvolgere il privato per questo tipo di iniziative. In realtà noi stiamo lavorando ad una rete di associazioni. Servono proposte concrete ma mi pare che, come salvare l’aeroporto, stia diventando una specie di concorso di idee e non è così che può funzionare.
Che differenza c’è fra rete di impresa e rete di associazioni?
Le faccio un esempio pratico: dentro Confindustria c’è chi si occupa di turismo, dentro Confcommercio idem, così come dentro la CNA. La nostra idea è quella di fare rete fra queste associazioni di categoria in modo tale da sostenere l’aeroporto e per capire se all’interno dei nostri associati c’è la possibilità di strutturare qualche progetto o qualche iniziativa per sostenerlo direttamente.
In che modo?
Attraverso forme di tassazione, di contributo insomma, anche perché è difficile in altro modo coinvolgere il privato, tout court, come spesso si è fatto cenno. L’idea di istituire una tassa camerale o meglio, aumentare il contributo camerale, alle aziende iscritte alla Camera di Commercio per sostenere l’aeroporto, lo abbiamo già detto a chiare lettere, non si può fare per legge. Il contributo camerale è uguale in tutta Italia ed è stabilito dal Consiglio dei ministri e non è una cosa su cui noi possiamo incidere.
Questo potrebbe contribuire a salvare o comunque sostenere in modo significativo l’aeroporto?
Non credo che in tal modo si possano recuperare milioni di euro ma è un gesto simbolico e a volte i simboli hanno la loro importanza.
Ha già un’idea di quale cifra si potrebbe raggranellare?
La prima riunione dobbiamo ancora farla ad inizio anno. Servirà anche a mettere le cose in chiaro.
Ovvero?
Qui non si fa altro che parlare e noi vedremo di fare qualcosa di concreto per dare una mano all’aeroporto, soprattutto chi ha interessi legittimi nel settore del turismo e stimo parlando del ristoratore, dell’albergatore, del commerciante ma anche dell’artigiano chiamato in causa ad esempio nelle ristrutturazioni delle strutture. Mi sembra un modo per dare un segnale, una buona notizia a tutto l’indotto, insomma.
Salvatore Ombra, secondo lei, sta facendo un buon lavoro?
Conosco Salvatore Ombra da tempo. Dalla sua ha che è un imprenditore che ha fatto già bene nella sua attività e quindi il suo background è assolutamente positivo. Ha fatto bene quando era presidente negli anni d’oro ma oggi i contesti sono cambiati rispetto a prima. Tutte queste problematiche in passato sul comarketing non c’erano, ad esempio, e ha qualche difficoltà in più.
Quali sono i suoi punti di forza?
La cocciutaggine. E’ un decisionista e va come un treno. Dovrebbe trovare un maggiore sostegno da parte della politica regionale per trovare una soluzione sia in termini di legge che in termini economici finanziari. In passato si è parlato addirittura di fusioni e ora è un’idea accantonata. Con queste incertezze non si possono gestire le aziende. Con tutti questi cambi di passo, non si acquista credibilità. Ombra in questo momento è la persona adatta. L’aeroporto aveva bisogno di uno scossone. Credo che possa farcela.
Ma secondo lei, Bongiorno, esistono davvero detrattori dell’aeroporto? Esiste davvero chi mette i bastoni fra le ruote?
No, questo non lo credo. Io credo, e senza peccare di presunzione, che sulla vicenda aeroporto bisogna una volta e per tutte e in maniera concreta e seria, stabilire il percorso da seguire. Non credo che ci sia un disegno contro l’aeroporto e sono contrario ad ogni forma di vittimismo. Piuttosto a volte è colpa della burocrazia regionale ma non credo che le lungaggini siano dovute al progetto di danneggiare il “Vincenzo Florio”. Piuttosto, a volte, è anche colpa della paura da parte di alcuni dirigenti ad assumersi certe responsabilità.
Cosa bisognerebbe fare secondo lei?
Innanzitutto stabilire cosa bisogna fare. Se si decide di seguire il percorso del comarketing, occorrerà affidarsi a qualche professionista che si occupa di diritto comunitario e con una specializzazione sugli aiuti di Stato. In tal caso bisognerà farsi dare un parere blindato che, posto che il comarketing si possa fare, ci indichi tutte le procedure da seguire. E se ogni anno questo aeroporto deve essere foraggiato attraverso gli Enti Locali o il comarketing, attraverso la Regione, bene, si stabilisca dove e come. Credo che questa politica del correre dietro alle emergenze, fa passare l’idea che questo aeroporto diventi la classica partecipata mangiasoldi.
Ed è così?
No, ma è anche vero che l’aeroporto ha tutta una serie di costi fissi, come ad esempio, un ospedale. L’aeroporto ha bisogno di chi sta alla torre di controllo, di chi fa le pulizie, dell’addetto al check in.
A proposito dell’indotto a cui lei faceva riferimento poco fa, secondo lo studio effettuato dalla società di consulenza KPMG, in 10 anni, con 10 milioni di investimento, l’indotto ne avrebbe beneficiato con 900 milioni di euro. Secondo invece i consulenti pagati dalla procura che sta indagando sull’aeroporto e sui 15 consiglieri accusati di peculato e falso in bilancio, non c’erano “prospettive di redditività a causa dei contratti stipulati”. Ma questi benefici, secondo lei, erano per Airgest, per il territorio o per Ryanair?
Sulla questione della perizia dei consulenti tecnici, non so nulla. Posso solo dire quello che è sotto gli occhi di tutti, ovvero che l’aeroporto, negli anni passati, quando era in pompa magna, ha dato un fortissimo impulso turistico in tutte le città della provincia. E’ stato tutto un fiorire di attività. Si sono recuperati i centri storici, case cadenti si sono trasformate in B&B e attività commerciali. Tutto questo aveva creato posti di lavoro e gettito fiscale a beneficio dei Comuni. E poi, mi lasci sottolineare che, in un territorio dove il sogno dei giovani era avere il posto pubblico e sicuro, si erano finalmente create nuove imprese. L’aeroporto era diventata una Stella Polare. Alcuni giovani, con il TFR del padre, si erano messi in gioco ed erano diventati imprenditori. Le pare poco?
Però pare che, sempre secondo l’esposto presentato alla Procura dal senatore Santangelo e dai deputati del governo regionale, Valentina Palmeri e Sergio Tancredi, tutti pentastellati, questa pompa magna di cui il territorio si è beato, in realtà fosse fondato su un escamotage, ovvero Airgest avrebbe capitalizzato i costi del comarketing mettendoli sotto la voce “ricerca, sviluppo e pubblicità” e ammortizzato in 5 anni le spese sostenute, uscendone in tal modo, in attivo. Ma poi i nodi son venuti al pettine tant’è che la procura ha deciso di indagare
Sono molto rispettoso del lavoro che portano avanti le forze dell’ordine e le procure ma ad esprimere oggi un parere su questioni di un tecnicismo esagerato, si fa male. Qui parliamo di aspetti fiscali e di contabilità e chi siamo noi per dire se si può fare? Non conosco l’esposto e non so esprimermi in proposito.
Secondo lei era in quegli anni una prassi consolidata ammortizzare i costi scaricando ogni anno il 20%?
Se si può fare, sarà l’attività processuale a chiarirlo. Credo che tutti ci dovremmo mettere intorno ad un tavolo e cercare di risolvere la situazione senza girarci intorno. E’ il momento di non procrastinare e spostare sempre più avanti il problema.
Finora si è fatto così?
Se in Sicilia, su tutti gli argomenti, si prendesse il toro per le corna, staremmo meglio. Le pare normale che per le province regionali chiuse e in liquidazione da 6 anni, non si sia arrivati ancora all’elezione dei presidenti dei Liberi Consorzi? I costi continuano ad aumentare e questo perché non si è fatto altro che rimandare. A volte, mi rendo conto, c’è bisogno di fare scelte drastiche, come tagliare il personale e togliere poltrone.
La situazione aeroporto è risolvibile secondo lei?
Bisogna cercare strade percorribili e in tempi veloci. E senza pannicelli caldi.
Ci faccia un esempio di pannicelli caldi
Io seguo le vicende dell’aeroporto da quando sono presidente di Confindustria Trapani e so degli aumenti di capitale sociale che si sono susseguiti e dei bandi di gara che ha tenuto la Regione attraverso il Comune di Marsala. Ebbene, questo lo sono stati e, peggio ancora, hanno avuto un ritorno di immagine negativa
Secondo lei, è vero che in realtà l’aeroporto, ha fatto solo guadagnare Ryanair?
No, non credo. Ryanair in questo momento è la prima compagnia in Europa e credo che Trapani rappresentasse l’1% del proprio fatturato e non si è arricchita con il contratto di comarketing di Trapani. In tutta Italia e in Europa continua prendere comarketing dove probabilmente utilizzano altre formule ma questo non lo so.
Insomma il comarketing è osteggiato solo a Trapani e in altre parti è normale averlo?
Lo ripeto, occorre affidarsi a chi può indicare le strade corrette percorribili dal punto di vista civilistico e di normative europee e penso a un professore universitario di Diritto Comunitario o ad un esperto di Stato che dica ad Airgest o alla Regione Siciliana cosa fare. Occorrano dati per fare analisi e serve anche capire come si fa in altri aeroporti d’Italia. Noi come Confindustria non possiamo fare la differenza. Possiamo recuperare qualche migliaio di euro ma non possiamo dare un contributo di competenze. Quelle devono darle gli esperti per non rimanere sempre aggrappati all’emergenza e allora sì che si può costruire qualcosa che duri nel tempo.
E adesso dico qualcosa di provocatorio. Il territorio ha davvero bisogno di questo aeroporto? In fondo Punta Raisi dista 100 Km, con una navetta è facilmente raggiungibile e se il territorio fosse ben pubblicizzato e reso attraente per i turisti, cosa impedirebbe loro di raggiungerlo a prescindere da Birgi?
Credo che di ricette per lo sviluppo non ce ne sia solo una, ma tante, e tutte complementari. Se noi mettiamo una buona promozione del territorio, catturiamo l’attenzione dei potenziali turisti ma se noi abbiniamo anche la possibilità di arrivare direttamente in provincia di Trapani con costi contenuti e con un aeroporto a 50 Km piuttosto che a 100, credo che sia una cosa assolutamente positiva. Ogni territorio dovrebbe puntare sul marketing territoriale e non solo per attrarre turisti ma anche per investimenti territoriali.
I costi contenuti, sembrano però ormai un miraggio.
L’argomento è più dibattuto quando i nostri figli tornano per le vacanze di Natale a casa, è ovvio. Io personalmente ho pagato un biglietto A/R Alitalia, per Roma, 848 euro il 12 dicembre partendo da Punta Raisi.
Lei ha parlato di investimenti da parte di imprenditori. Cosa servirebbe per renderci più attrattivi?
Ormai si investe in un territorio solo se ci sono le migliori condizioni, ovvero competenze del personale, se c’è gente formata in ottime scuole e Università, senza tralasciare gli aspetti fiscali. Penso alle zone franche e alle ZES, (le Zone Economiche Speciali ndr) o ai SUAP ( Sportello Unico Attività Produttive, ndr) ben funzionanti. Se presento un progetto per costruire un capannone anziché aspettare 7 anni, è preferibile aspettare 6 mesi. Credo che la stessa cosa valga per l’aeroporto di Trapani.
Si sente sempre più spesso parlare di ZES, secondo lei funzioneranno dalle nostre parti?
Come già detto, è una delle tante soluzioni complementari alle altre. Aeroporto, ZES, zone industriali funzionanti, fondi europei spesi bene, sono tutte cose che possono avere un aspetto molto positivo sul nostro sviluppo. Le ZES da sole non bastano, si tratta di un solo ingrediente e ne servono molti.
Bongiorno, anche per il ruolo che lei riveste di presidente di Confindustria trapanese, che futuro vede per il nostro territorio?
Mi piace basarmi su dati. Abbiamo notato che, a differenza del 2013/2014, c’è stato un aumento del 20% dell’export in provincia di Trapani. Siamo passati da circa 240 milioni di export del 2013 ai 300 milioni di euro del 2018 e pare che sia un dato confermato anche per il 2019.
Quest’aumento a cosa è dovuto?
Buona parte del nostro export proviene dall’agroalimentare, vino e olio soprattutto. Si tratta di prodotti che trovano allocazione all’estero. E’ un cambio di passo che fa ben sperare per il futuro. Gli imprenditori hanno capito che il mercato interno non paga e che bisogna imbottigliare il proprio prodotto con una bella etichetta e proporlo ai mercati internazionali. Questo crea valore aggiunto e con dei margini molto cospicui. Stiamo registrando un numero sempre maggiore di imprenditori illuminati che fanno studiare le lingue ai figli e li fanno specializzare altrove.
Bongiorno, se l’agroalimentare va sù, quali sono i settori che invece vanno giù?
_Purtroppo continua a perdere colpi l’edilizia e in provincia di Trapani, il settore che in 5 anni ha perso il 50% del proprio export è il marmo. Nel 2013 ha avuto un risultato eccezionale con 60 milioni di euro di export mentre per il 2018/2019 il settore marmo si è fermato a 30 milioni.
Perché è accaduto questo, secondo lei?
_Il marmo di Custonaci, dopo quello di Carrara, è il secondo bacino in Italia. La crisi ha una serie di concause. Sicuramente incidono questioni geopolitiche. L’Arabia Saudita che era il primo importatore ha degli scossoni politici interni così come altri Paesi Mediorientali come la Siria e la Turchia. Credo che sia “colpa” anche di altri prodotti presenti sul mercato e però meno pregiati.
Non mi dica che si tratta di marmo cinese.
_Per fortuna i cinesi non hanno ancora scoperto le cave di marmo. C’è comunque un buon marmo che arriva dall’Oman e dalla Turchia che costa ovviamente meno del nostro, anche perché in questi Paesi la manodopera è a buon mercato, per non parlare delle tasse. Come le ho detto, è un complesso di cose che sta incidendo sul dimezzamento dell’export.
Mi pare di capire che in molti settori viga la predilezione per il low cost mentre siano in incremento i cosiddetti prodotti alimentari “di nicchia”, cioè vini e oli di alta qualità.
Perfetto, ha centrato l’obiettivo. Ormai il distinguo fra un prodotto e l’altro lo può fare esclusivamente la qualità senza scordare il packing. Quando si apre una bottiglia di vino sono gli odori, i profumi, ma anche la sua “Storia” a fare la differenza. Il vino può essere infatti molto “romanzato”, può raccontare la Storia della nostra Sicilia, e penso ai Florio.
Insomma, anche per lei, bisogna vendere all’estero il brand Sicilia?
Il brand e la qualità. Solo l’ “esterno” non basta, bisogna ribadirlo con forza. Per il prossimo futuro, per tornare alla domanda, la strada da seguire è questa. Si può fare ancora molto nonostante 300 milioni di export siano una buona fetta. Ci sono ancora molte zone della Cina e del Giappone da conquistare. Stiamo parlando di zone con miliardi di persone. Se lo 0,10% della popolazione iniziasse a degustare il nostro olio i il nostro vino, avremmo dei numeri di export esagerati.
Buon anno, presidente.
Buon anno a noi e al nostro territorio
Tiziana Sferruggia