Se dovessero esserci dei dubbi sul feroce piano di Netanyahu, ci pensa Trump a sistemare tutto e a chiedere la pace scendendo in guerra, con la stessa facilità con cui si tracanna un cocktail a bordo piscina. E questo è solo il primo dei controsensi in questa torrida estate del mondo.
Eppure non mi colpisce tanto la giravolta di Trump di cui si lamentano in tanti. Nessuno, neppure i suoi seguaci del “maga”, si erano mai illusi che potesse durare un Trump “pacifista”. A preoccupare seriamente è invece la sua imprevedibilità. Un minuto prima afferma che darà 15 giorni di tempo all’Iran per ravvedersi, e poi fa sera e fa mattina, ci svegliamo con l’Iran bombardato da tre GBU-57/B partiti niente popò di meno che dal lontano Missouri, dopo 37 ore di volo.
Il giorno dopo l’attacco ai tre siti nucleari iraniani, si possono fare solo ipotesi e congetture, le più svariate, sul futuro prossimo di questa nuova guerra che i due compari di merende, Netanyahu e Trump, hanno comprato alla fiera del Medio Oriente, confezionando per l’Occidente un regalo coi fiocchi.
La prima è che, così come appare: il mondo è nelle mani di nessuno. Sic et simpliciter. Anestetizzato e, di fatto, sepolto il valore della diplomazia, il mondo si contorce, sussulta, trattiene il fiato, aggrappandosi a peso morto sulle spalle di un solo uomo. E di qualche suo lacchè. E non il più saggio.
In secondo luogo, l’uomo “contraddizione vivente” non solo risulta maldestro e pessimamente ispirato, ma dimostra di muoversi come un elefante in un negozio di cristalli, in un’area già parecchio arroventata, dove tutto bisognerebbe fare, tranne che buttare benzina sul fuoco. Basterebbe guardare con molta serenità la storia degli ultimi 20 o 30 anni, mica di secoli fa, per capire che –detta pêle-mêle- non è strada che spunta. In Afghanistan, Siria, Iraq, nella stessa Palestina o in Libia, qualunque sfumatura si sia provati a dare alla parola “democrazia occidentale”, è fallita miseramente. Non solo, essendo stata scambiata (spesso a ragione) con un tentativo di “colonizzazione”, non solo è stata ostacolata, ma spesso rovesciata a carissimo prezzo. Ecco, bisognerebbe chiedersene i motivi piuttosto che bombardare.
Terza riflessione, l’intervento americano di sabato notte in Iran ha finito per riabilitare il presidente israeliano Netanyahu agli occhi del consesso internazionale. Si è così passati dal minimo dei consensi in seguito ai vergognosi e ripetuti massacri a Gaza, all’improvviso battesimo di grande liberatore di uno dei regimi più invisi agli occidentali, quello dei Pasdaran e della teocrazia di Ali Khamenei.
Ma c’erano davvero tutti i timori di un eventuale utilizzo criminale dell’energia atomica da parte dell’Iran? O piuttosto, si è trattato di una mossa –in questo caso, bisogna ammetterlo, geniale- di Netanyahu, per uscire dalla fossa che si era scavato giorno dopo giorno sulla striscia di Gaza? Non lo sapremo mai, o meglio, non lo sapremo a breve. Ma, adesso che la frittata è fatta, va registrato un nuovo mood. La possibilità che molti iraniani, seppure non particolarmente attratti dall’Occidente, vedano in questa nuova guerra una liberazione dal regime illiberale e dittatoriale degli Ayatollah con il braccio armato dei Pasdaran (o se si vuole, i Pasdaran con l’ausilio della teocrazia dell’Ayatollah).
Sospetto che molti iraniani saranno con Trump e con Netanyahu, perché come spesso capita in questi casi, la repressione e la frustrazione è tale e tanta che la prospettiva di un cambiamento (seppure di un salto nel buio) è troppo ghiotta.
Sono in tanti, gli iraniani, circa 80 milioni e più, quasi come i tedeschi. E sono giovani. Leggevo che quasi il 70% ha meno di 45 anni. Sono istruiti, in buona parte diplomati e laureati, molti hanno viaggiato in giro per il mondo, conoscono le lingue, si sono internazionalizzati, sono per lo più ricchi: grazie al petrolio, la loro qualità della vita non è lontanamente sovrapponibile a quella dei loro vicini turbolenti, afghani o iracheni. Hanno tante risorse culturali, essendo discendenti di una delle civiltà più antiche, sofisticate e ricche dell’umanità. E, cosa non trascurabile, non sono necessariamente omologabili allo stile di vita occidentale. Tuttavia, per liberare tutte queste risorse, controsenso dei controsensi, l’impressione è che sarebbero disposti pure a fare mezza statua a Trump e un’altra mezza a Netanyahu. Al momento, comunque, non si hanno sussulti dalla piazza. Vedremo se e quando il regime interno, nei prossimi giorni, comincerà a mostrare le prime crepe pubblicamente.
Ed è lì il nodo più importante. Colpita al cuore militare, oltre che nell’orgoglio, con la Cina distratta e il suo vecchio partner, la Russia, sommerso dai problemi, l’impressione è che alla Repubblica Islamica siano rimaste ben poche mosse. Quella più controversa, perché sarebbe una sorta di “all in”, di rischia-tutto, passa per un’importante decisione, ormai sulla bocca di tutti gli analisti: la chiusura dello stretto di Hormuz, dove passa il 35 % del petrolio mondiale. Se dovessero optare per questa decisione significherebbe che hanno ancora la forza (o la disperazione?) di giocarsela (con l’aiuto diplomatico di Cina e Russia), in modo da trovare un accordo che li lasci in vita, ma molto ridimensionati, acciaccati e decisamente malmessi. È la prima delle possibilità. Nella peggiore, nel caso (non auspicabile) Cina e Russia vogliano invece accettare il guanto di sfida di Trump, si arriverà alla terza guerra mondiale. Molto semplicemente.
Qualsiasi altra opzione, che non transiti da un’azione shock da parte del governo iraniano, e che comporti l’allungamento di questa guerra fino allo stremo, sembra invece destinata alla sconfitta per i Pasdaran di Teheran e di Ali Khamenei. Questioni di giorni o di settimane, o anche mesi (ma dubito anni).
Personalmente, spero che l’ opzione “resa immediata”, senza spargimento di sangue, sia quella definitiva. La più auspicabile, a mio modo di vedere. Per quanto non necessariamente la più probabile. Non credo di essere il solo: sotto sotto, questa sarebbe la scelta di molti di quelli che, pur odiando profondamente Trump e l’abisso dell’antipolitica che lui rappresenta, sacrificherebbero il dispotico e minaccioso regime iraniano, in cambio di un po’ di pace. Nell’area e nel mondo.
Rebus sic stantibus, paradosso dei paradossi, avendo in questo modo scongiurato conseguenze ben più gravi e definitive per il mondo, non ci resta che turarci il naso e sperare che alla fine –alla svelta- vincano le determinazioni di Usa e Israele e che il mondo passi velocemente ad altro. Ecco, l’ho detto.
D’altra parte, perché stupirsi? purtroppo non è ancora arrivato il tempo dei santi, fin quando a comandare saranno i più forti. Non si fonda così il consenso al giorno d’oggi?