In un’epoca in cui i cambiamenti climatici e i fenomeni estremi impongono nuove sfide, la prevenzione non può più essere affidata solo ai tecnici: deve diventare cultura diffusa, partecipazione attiva. È questa la visione che anima Pino Aceto, Presidente della Pubblica Assistenza “Il Soccorso” ODV, e ideatore del Progetto Richter, un’iniziativa che parte da un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario: ascoltare davvero i cittadini. A Misiliscemi, nel cuore della provincia trapanese, la Protezione Civile si costruisce dal basso, con metodo, passione e rigore scientifico.
Presidente Aceto, da dove nasce l’idea del Progetto Richter?
L’idea ha radici profonde, che affondano nella consapevolezza maturata in anni di impegno sul campo: non possiamo parlare seriamente di Protezione Civile se non comprendiamo prima come i cittadini percepiscono i rischi del loro territorio. Non basta avere piani operativi o mezzi all’avanguardia. Serve, prima di tutto, empatia istituzionale. È da questa convinzione che ha preso forma il Progetto Richter. Come Pubblica Assistenza “Il Soccorso” – una realtà tra le più attive e riconosciute nel settore, come confermato anche dal Dipartimento Regionale della Protezione Civile durante la “Maratona dei Sindaci” a Misterbianco – sentivamo il dovere di offrire un contributo concreto, costruendo un ponte tra le istituzioni e la popolazione.
Come avete strutturato questo progetto?
Abbiamo scelto di partire dall’ascolto. Non da convegni o tavoli tecnici, ma dalle strade, dalle contrade, dalla voce diretta delle persone. Abbiamo distribuito un questionario nelle otto contrade di Misiliscemi, raccogliendo 411 risposte, pari a circa il 5% della popolazione. Le domande erano mirate e semplici: conoscono i rischi naturali del territorio? Sanno dove reperire informazioni in caso di emergenza? Conoscono i piani di evacuazione? Volevamo capire quanto realmente la popolazione fosse preparata a fronteggiare un evento calamitoso.
Un progetto di ascolto, ma anche di metodo…
Assolutamente. Nulla è stato lasciato al caso. Abbiamo applicato un approccio scientifico, frutto del mio percorso formativo – in particolare del master in Disaster and Risk Management – e dell’esperienza maturata come consulente per i Comuni di Buseto Palizzolo e Paceco. Ogni passaggio del progetto è stato curato per evitare distorsioni, bias metodologici, e per ottenere un campione davvero rappresentativo. Non cercavamo numeri da esibire, ma dati reali su cui poter costruire politiche di prevenzione efficaci.
E cosa vi hanno detto, questi dati?
Che c’è fiducia nelle istituzioni, sì, ma anche una certa disinformazione. I cittadini si affidano principalmente alla Protezione Civile e alle autorità locali, ma in parallelo i social network sono diventati fonti di notizie, spesso non verificate. Molti conoscono i rischi legati al territorio, ma pochi sanno se esiste un piano di emergenza e, se esiste, dove trovarlo. Questo genera un senso di insicurezza diffusa. Il messaggio è chiaro: bisogna rafforzare la comunicazione istituzionale e investire nella formazione capillare.
C’è qualcosa che l’ha colpita in particolare?
Sì, ed è un dato che mi ha emozionato: oltre il 50% degli intervistati ha dichiarato di essere disponibile a fare volontariato. È un segnale straordinario. Pensiamo solo a cosa significherebbe, in termini di resilienza comunitaria, se anche solo una parte di queste persone si attivasse. Avremmo una rete di cittadini pronti a supportare le emergenze, a informare i vicini, a fare prevenzione. È la conferma che il tessuto sociale è vivo, e che il desiderio di partecipazione esiste. Basta solo saperlo intercettare.
E adesso, quali sono i prossimi passi del progetto?
Abbiamo tracciato una rotta, e adesso intendiamo seguirla con determinazione. Il nostro obiettivo è duplice: da un lato costruire un database dinamico per monitorare la percezione del rischio e orientare le politiche pubbliche; dall’altro continuare a formare e coinvolgere i cittadini, ampliando il raggio d’azione. Questa è solo la prima fase. Stiamo già lavorando a un campionamento più raffinato e a nuove iniziative di sensibilizzazione. Il sogno? Fare di Misiliscemi un modello di Protezione Civile partecipata, replicabile in altri territori.
Un’ultima battuta: cosa augura a Misiliscemi?
Mi auguro che diventi una comunità consapevole, dove ogni cittadino sappia cosa fare in caso di emergenza e si senta parte integrante del sistema di Protezione Civile. Una comunità dove la preparazione, la solidarietà e il senso civico non siano eccezioni, ma regole condivise. E, più in generale, mi auguro che il nostro esempio possa ispirare altri Comuni. Perché la sicurezza vera non si costruisce nei momenti di crisi, ma ogni giorno, con piccoli gesti e con grande partecipazione.