Radici d’Anarchia, parte 2 – Gaetano Bresci: il Nemico dello Stato e una ghirlanda carrarese

Sebastiano Bertini

Lo scavalco

Radici d’Anarchia, parte 2 – Gaetano Bresci: il Nemico dello Stato e una ghirlanda carrarese

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lunedì 03 Aprile 2023 - 14:41

Anno 1900.

Ecco l’uomo. Il prototipo del Nemico dello Stato. L’Uccisore di Re. Gaetano Bresci.

Con lui la storia del Regno d’Italia giunge ad una svolta; entra nel nuovo secolo nel segno del trauma.

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Va detto, da principio, che scrivere del Bresci è piuttosto difficile. Sicuramente perché intorno alla sua biografia si addossano, spintonandosi, mitologie e contromitologie.

Ondeggiamo, si potrebbe dire, tra la damnatio memorie di una morte e di una sepoltura occultate e la targa commemorativa di Carrara, inghirlandata anche dalle associazioni depositarie della memoria dell’antifascismo, Anpi e Fiap.

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Forse, la cosa più semplice è fare un tratteggio preliminare del contesto storico.

Non molti ricordano, parlando del regicida, che l’età umbertina non è stata, per l’Italia, granché.

Prova sono il fatto che almeno due sono stati i tentativi di attentato al Re prima di quello riuscito: Giovanni Passannante, nel ’78, e Pietro Acciarito, nel ’97.

L’Italia di quegli anni è segnata da fame e repressioni.

Umberto I era piuttosto povero di visione: anche in politica estera scarta la solida rete di alleanze che aveva permesso al padre di “fare l’Italia” e si mostra tutto proteso verso gli imperi centrali della Triplice Alleanza.

Con la Francia fa addirittura a schiaffi per questioni di dazi.

È anche il Re della disfatta di Adua.

In politica interna, con davvero poca strategia, ha sempre scelto di salvare lo Stato dalla bancarotta imponendo accise e imposte sui generi di prima necessità.

Scelte che hanno penalizzato le classi meno abbienti e, fortissimamente, il meridione.

Risultato: moti e tumulti. Sicilia, Garfagnana, Carrara. Tutti repressi con violenza e spargimento di sangue.

Chi non insorgeva, si potrebbe dire, emigrava verso gli USA.

Chi, poi, parlava, si trovava anche la bocca cucita: più di un centinaio i giornali chiusi.

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Ora, già questi dati potrebbero invitare a ridimensionare l’hostis rei publicae.

La storia personale, poi, può indurre a rimuginare i giudizi.

Il Bresci fu un uomo, in effetti, non banale: insofferente, irregolare negli anni giovanili, con fama pure di donnaiolo, ma anche di buon lavoratore, animato da una forte pulsione politica e da una certa consapevolezza culturale.

In brevissimo.

Filatore pratese con giovanili esperienze di carcere e relegazione per motivi politici, migra negli Stati Uniti nel 1896. Scappa anche da una tal Assunta, incinta di lui, ma già sposa d’altro e madre di tre figli.

Nel New Jersey pare riuscire a far valere la propria professionalità, decoratore di seta, e pare bene integrarsi con la comunità anglosassone, contraendo anche buon matrimonio.

La sua sorte cambia a causa di Bava Beccaris, onoratissimo generale regio che, nel ‘98, sfamò con il piombo i Milanesi in subbuglio manzoniano per il prezzo del pane: 80 morti, ufficialmente.

Da questo momento Bresci si organizza per la “propaganda del fatto”: acquista una pistola, si addestra al tiro, torna in Italia e, dopo giorni di appostamenti, pianta tre proiettili nel corpo di Umberto I.

Arrestato, processato, condannato, finisce in un’isoletta vicino a Ventotene, patria nobile del “pensiero d’Europa”. Qui, nel carcere panopticon di Santo Stefano infine perde la vita. Sulle prime dato per suicida, probabilmente fracassato dal pestaggio di rito che in quei luoghi era detto “santantonio”.

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Di qui si passa alla memoria sociale, che è forse ciò che ci interessa di più.

Memoria che, come accade quasi sempre in questi casi, tende a biforcarsi in due asintoti.

Una linea cerca rendere il dato “bruto” e cerca di calarlo nella rete dei nessi causa-effetto della Storia; l’altra aspira alla mitizzazione.

Se si desidera partire dalla prima, va almeno notato che la fine della vita del regicida sfiora la parabola storica successiva, quella che avrebbe dominato il ‘900. Cronachisti riportano che un ancora acerbo Mussolini, in visita con il Riboldi, sindaco socialista di Monza, al monumento commemorativo – datato 1910 – di Umberto I, abbia inciso sulla cancellata la scritta “Monumento a Bresci”.

Storia psichica di un futuro dittatore alla ricerca di un padre politico violento.

Ma forse c’è altro.

C’è anche il fatto che è la cesura-Bresci a attivare il regno di Vittorio Emanuele III. Nella fattispecie, proprio il Re del Fascismo. Il Re che firma l’armistizio dell’8 settembre e poi scappa, abbandonando il Paese a sé stesso.

Inanellata di fatti che risaltare, per contrasto, l’altra traccia: quella delle mitizzazioni, tra le quali suscita certamente più interesse quella che trasfigura romanticamente Gaetano Bresci.

Trasfigurazione, direi, impossibile prima del Fascismo, quando il movimento anarchico era radicato, complesso, e tutt’altro che sintetizzabile nel gesto terribile dell’attentatore.

Infatti, è soprattutto attraverso il percorso di fuoriuscita dal totalitarismo che Comunisti e Socialisti mettono all’angolo gli anarchici, complice la disgregazione internazionale del movimento, prima digerendoli nella lotta partigiana e poi bollandoli come dissociati e violenti.

E in età di disfacimento, i morti sono tutti martiri, che quasi si possono subito vendere per santi.

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La prova di persistenza più interessante, io credo, di questo segmento Bresci-martire riguarda le – già citate – commemorazioni carraresi Anpi/Fiap del 2013.

Non si tratta cioè di espressioni che vengono da organizzazioni anarchiche, ma da associazioni che si danno come collettori universali di antifascismo.

In quell’occasione, il comunicato congiunto riporta le parole:

Carrara antifascista e partigiana invita tutti i sinceri democratici a visitare la Mostra dello scultore Sam Durant, al Cap di Carrara e ad essere presenti, il 2 Novembre prossimo, a Turigliano alle 10,30 per deporre una corona al monumento a Gaetano Bresci che sacrificò la sua vita per quegli stessi ideali anarchici e di liberazione.

A dir la verità, queste parole non mi paiono così chiare.

Mi sembra che qui si sia effettuata una illegittima trasfusione della dottrina della “violenza necessaria”.

Illegittima perché se questa può attenere a Bresci, risulta fuorviante quando si parla di Resistenza; quella partigiana fu guerra, e ancor più a fondo guerra civile, e perciò riposa sotto tutt’altra giurisprudenza.

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Mi pare che esiti di questo tipo dipendano, in succo, dalla mancata sintesi fra le due linee asintotiche di cui sopra.

Molti storici da tempo hanno segnalato come l’incapacità dell’Italia Repubblicana di fare realmente “i conti” con il fascismo e con gli eventi della guerra dopo il 1943, abbia lasciato realmente sprovvisti di una retorica “del superamento”.

Il fossato che divide gli schieramenti non sembra essere stato così ben riempito.

Male a volte si dice della Germania, che quella retorica se l’è costruita sulla “colpa”. Eppure quella narratio ce l’ha, e pare riesca a parare non pochi colpi.

Di questo “vuoto” nostrano sono la prova anche i recenti e scialbi dibattiti sulle esternazioni del Presidente del Senato La Russa: la capacità della Repubblica di espungere realmente da sé il Fascismo è stata così scarsa da permettere ripetuti tentativi di revisionismo. Tentativi disperatamente goffi, che però al posto di essere abrasi dalla nuda verità storica, diventano oggetto di continui rimescolamenti polemici, idealistici a volte, utilissimi sempre alla propaganda politica.

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Rimane allora da chiedersi se le discussioni, le riflessioni, le levate di scudi, intorno al caso Cospito, in questi giorni, siano anche esse segnate da questa “mancata sintesi”.

Cioè dietro l’anarchico c’è, si, la funzione-Bresci, ma c’è forse ancor di più la cornice culturale di un’Italia che non riesce a pensarsi al di fuori del conflitto fra Destra e Sinistra.

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

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