Guerra e Pane

Sebastiano Bertini

Lo scavalco

Guerra e Pane

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sabato 28 Maggio 2022 - 07:45

Esiste una “Civiltà del Pane”. E, per chi non lo ricordasse, noi ci siamo assolutamente dentro.

Da quasi tre millenni, la “Nazione della pita” si aggrega – quasi si potrebbe dire “si agglutina” – strettissimamente intorno al nostro Mediterraneo, imparentando Europa, Medio Oriente e Nord Africa. Unico confine, a estremo Oriente, la “Civiltà del Riso”.

In questo senso, è chiaro, il Pane è un fatto politico e, insieme, culturale e antropologico; substrato profondo anche del nostro italico essere molo intra acque. Per questo ci ricordiamo subito che intorno al Pane si sono fatte, sempre, guerre e rivoluzioni, dai Gracchi fino alle Primavere arabe. Perfino il nostro romanzo nazionale, I Promessi sposi, ha uno dei suoi centri nell’assalto milanese ai forni. Con il nostro Renzo che giunge, beatamente ingenuo nella spietata lucidità del Manzoni, e supera la colonna di San Dionigi, tra farina e pani abbandonati, con l’esclamazione “Che sia il paese di cuccagna questo?” Riconferma della politicità del Pane.

I pani medievali, senza lievito e senza sale, cotti e poi bolliti, sono stati il carburante dell’intero moto espansivo che ha portato all’età moderna. I pellegrini. I mercanti e i soldati lo portavano nelle bisacce: l’idea di Res Publica Christiana, quale definizione geopolitica dell’Europa, non sarebbe stata in alcun modo possibile senza un materiale sostegno a questi attraversamenti. Lo stesso Colombo attraversò l’Atlantico con un pezzo di pasta madre essiccata; e i Padri Pellegrini della Mayflower certo giovarono delle piantagioni di grano di Sir Bartholomew Gosnold, già attestate nel 1602.

Una sottolineatura. Quando, in questi giorni, si parla di una para-guerra del “Grano” si fa riferimento agli aspetti soprattutto economici della questione. Grano e Pane nella nostra cultura alimentare non hanno corrispondenza perfetta: i gladiatori romani venivano corroborati da lavorati di farro; la pinsa si impastava con i cerali umili degli schiavi – orzo, avena e miglio – e si cuoceva, come in tutta l’antichità, su una pietra arroventata; a Roma esisteva perfino un Pame per i cani, il Panis furfureus. I longobardi mescolavano segale oppure avena per ottenere le gallette da cuocere sotto le braci. Poi, fino a 1700 inoltrato, il Pane bianco di farina raffinata di grano tenero, sofficemente lievitato grazie alla tecnica d’uso dei lieviti di birra rivoluzionata nel Rinascimento, è prerogativa esclusiva delle classi abbienti. Sarà il “secolo borghese”, il 1800, poi produrne la diffusione sempre più vasta, come parte di quel grande processo trasversale, tutt’oggi attivo, che vede il progressivo accesso, da parti delle classi tradizionalmente marginali, ai modi di vita che furono della nobiltà. Grande movimento storico su cui si innesta la nostra Globalizzazione economica, che occidentalizza per mezzo dei propri prodotti: è qui, in questa fase, che scompaiono Teff, Spelta, Sorgo e Miglio.

L’equazione globalista e liberista Grano:Pane è ciò che minaccia, alla radice, la “Civiltà del Pane”. L’Egitto importa il 90% del grano da Russia e Ucraina; il Kenya il 75%. Se i convogli non viaggiano il prezzo sale: già oltre il 40%, in paesi come lo Yemen in cui l’instabilità sociale e la situazione economico sanitaria sono indissolubilmente legate.

Parliamo continuamente di Globalizzazione, ma sembra ci stupiamo decisamente se scopriamo che una guerra come quella d’Ucraina ha effetti globali. Margini schiacciati ai lati, centri economico-finanziari sulla giostra della speculazione.

Ogni cosa deve essere fatta per sbloccare le granaglie, riavviare le spedizioni. Putin lo sa bene: la minaccia alla “Civiltà del Pane” è la minaccia alla storia culturale e umana dell’Occidente; ancor di più, della storia culturale e umana del caldo e raccolto pelago Mediterraneo.

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

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