La rassegna “Trapani Vivi il Teatro”, organizzata dalla Oddo Management e dal Teatro Ariston, porta domani sera sul palco del capoluogo di provincia, il cantautore palermitano Alessio Bondì con il suo “Maharìa Tour” che prende il nome dall’ultimo album. Bondì si misura ancora col dialetto siciliano per sviscerare tutta la sua poetica, le storie più intimiste e quelle legate alla sua isola. Il concerto inizia alle ore 21.30, si accede con Green pass rafforzato (vaccino) e mascherine ffp2. Abbiamo intervistato Bondì che ci ha parlato del suo ultimo lavoro.
Maharìa è il tuo terzo album, il più maturo, il più world senza tralasciare la tua vena da songwriter. Un disco i sentimenti disparati, probabilmente dovuto dagli ultimi due anni non proprio rosei. Come hai vissuto la pandemia?
Mi sono trovato con le spalle al muro dal punto di vista lavorativo, con progetti spostati o saltati, ma ne sono sorti nuovi e quindi non recrimino nulla. Ancora oggi facciamo i conti con una condizione di stress post-traumatico. Il disco è stato ultimato l’8 marzo 2020 e praticamente sono passato dal lockdown in studio per lavorare sul disco a quello in casa. Poi col produttore Fabio Rizzo abbiamo deciso di riaprire i mic del disco e di ripensarlo: abbiamo tolto alcune canzoni e abbiamo capito meglio cosa fosse questa maharìa, alla luce di quanto è successo storicamente negli ultimi due anni. E’ questa la maturità che si sente.
In Maharìa, sei ancora più intimista che nei rispettivi lavori e sembra quasi un concept. Qual’è il ‘magico’ filo conduttore in questo album?
Preponderante è la lingua, l’uso del siciliano. Io quando parlo di concept lo intendo nel senso di un parco di strumenti che utilizzo per inviare un messaggio che nel disco è stratificato. Il filo conduttore è sicuramente la maharìa, che vuol dire malocchio, ma essendo un termine non più usato, sembra qualcosa di esotico, di misterioso. E come tutti i principi dell’uomo, c’è sempre un lato positivo e uno negativo; per questo sono canzoni piene di rabbia, di malinconia, ma anche di allegria, un connubio di emozioni che fanno capo a quella porticina che si può aprire attraverso la musica e la lingua. Ho voluto fare un tentativo di connessione con un mondo profondo, inconscio e il siciliano mi ha facilitato perchè non è una lingua accademizzata.
La tappa trapanese segna il tuo ritorno live si spera. Quali sono le tue sensazioni oggi?
A Trapani suonerò da solo, chitarra e voce, sono contento di farlo in teatro. Le vibrazioni sono alle stelle, sono luoghi in cui mi sono formato, la mia prima formazione è avvenuta in teatro, poi ho iniziato a fare musica. Suonare ultimamente così poco rende più chiaro il desiderio di sentire la musica dal vivo, si dà troppo per scontato quel potere che si crea tra pubblico e musicista.
Negli ultimi anni la musica d’autore siciliana va sempre più oltre lo Stretto ed è molto apprezzata dalla critica. Come vedi questa rinnovata “scuola siciliana”? C’è qualcosa che ti piace?
Penso che più si vada avanti e più verremmo considerati “italiani” anche nella musica. Ad oggi esiste un pregiudizio rispetto a tutto quello che è dialettale. Apprezzo tanto artisti come Antonio Dimartino, Fabrizio Camerata, Nicolò Carnesi, e per i dischi dialettali anche Francesca Incudine e i fratelli Mancuso.
Hai mai pensato di fare qualcosa in italiano o in inglese, vista la tua indole “esterofila”?
Non è che non ci abbia mai pensato, ma finora ho seguito la mia prima intuizione, benché scriva pure in inglese. Voglio continuare con questo percorso fino a quando riesco ad essere creativo, anche se di nicchia. In italiano scrivo altro ma non canzoni, forse perchè non ho ascoltato molta musica italiana. Mi piace Pino Daniele, ma anche lì c’è una lingua del sud, il napoletano, che si sposa con un sound oltreoceano e sudamericano.
Prossimi impegni o progetti?
Ancora poco all’orizzonte a causa Covid. Ma c’è voglia di fare. Vedo che in pochi si avventurano a fare tour nel mondo indipendente.
Per ascoltare la musica di Alessio Bondì: http://alessiobondi.com/album/maharia/