Domenica ricorderemo il 29° anniversario dalla Strage di Capaci. Era il 23 maggio del 1992 quando Cosa Nostra fece saltare un pezzo di autostrada con un’esplosione di una potenza impressionante, travolgendo le auto su cui viaggiavano Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montanaro e determinando il ferimento di altre 23 persone.
Una delle pagine più cupe e drammatiche della storia italiana recente, in un anno segnato da una crisi politica irreversibile che avrebbe determinato il crollo della Prima Repubblica. I mesi successivi furono segnati da altre stragi e altri lutti, da via D’Amelio alle città d’arte e mai come in quegli anni la sensazione di una resa dello Stato sembrò vicina. Di quella stagione sono rimasti numerosi punti interrogativi, a proposito di responsabilità e connivenze istituzionali, solo parzialmente emerse nel processo sulla Trattativa. Resta anche il mistero della latitanza di Matteo Messina Denaro, il boss castelvetranese legatissimo ai corleonesi, che era stato inviato a Roma per uccidere Giovanni Falcone qualche mese prima della Strage di Capaci, salvo poi venire fermato perchè Riina decise che il giudice palermitano doveva essere ucciso in Sicilia.
Qualcuno di questi misteri, probabilmente, se lo sarà portato definitivamente dietro l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, deceduto pochi giorni fa e a lungo protagonista di un carteggio riservato con Messina Denaro, sotto la copertura dei servizi segreti. Ma il vero tenutario della memoria storica di Cosa Nostra e dei suoi rapporti con le più alte sfere istituzionali è proprio il boss castelvetranese, latitante da 28 anni. E proprio la quantità di informazioni di cui Messina Denaro è a conoscenza rappresenta, a parere di molti, un elemento determinante per garantirgli la libertà.
L’eredità di Giovanni Falcone è invece presente e viva in una parte consistente della popolazione, che il 23 maggio del 1992 fece una scelta di campo, diventata definitiva 57 giorni dopo, con l’omicidio di Paolo Borsellino. Non è un caso se la mafia si è ritrovata costretta a mutare campo d’azione, rinunciando, a partire dal ’95, alla strategia stragista. I fatti, però, hanno dimostrato come abbia continuato ad essere presente nel tessuto economico, sociale e politico. “Segui i soldi e troverai la mafia”, insegnò Giovanni Falcone negli anni ruggenti del pool di Palermo, indicando una direzione che può tranquillamente essere applicata anche al nostro presente. Dalle nostre parti, ad esempio, appare chiaro che le famiglie mafiose abbiano puntato tutto su droga e rifiuti, mentre adesso – verosimilmente – si preparano a intervenire sul post pandemia, approfittando da un lato delle nuove povertà, dall’altro delle grandi opere finanziate con il Recovery Plan.
Di questo, soprattutto, si dovrebbe parlare in queste ore, per rendere un reale omaggio al sacrificio di uno tra i più coraggiosi e integerrimi servitori che lo Stato italiano abbia mai avuto e per testimoniare di averne compreso la lezione. Viceversa, ancora una volta, si finirà per consumare una celebrazione fine a se stessa, di quelle che alla mafia non recano proprio nessun disturbo.