Moni Ovadia indimenticabile e sapido, Valeria Contadino eccezionale espressione di mortificazione e dolore materno, Mario Incudine brilla, sempre, anche quando la scena si fa nera come la sua anima avvilita
Un’opera godibile perché strutturata, composta per piani di senso, un testo che si ascolta, si vede e lascia un sapore che sa di Sicilia, diverte e sconvolge, interessa e colora i pensieri, dispera e rincuora. Questo è stato il “Casellante” – giunto alla 45esima replica in tutta Italia – che è andato in scena giovedì scorso nel teatro Impero registrando oltre 15 minuti di applausi. Il cast preziosissimo composto da Moni Ovadia, Mario Incudine, Valeria Contadino, Sergio Seminara, Giampaolo Romania e i musicisti Antonio Vasta e Antonio Putzu si caratterizza per un’eccezionale versatilità capace di rappresentare la terra e il cielo della Sicilia sotto la guerra, il senso della famiglia, l’amore carnale, il babbìo da bottega, ma anche il baciamolemani e il boato delle bombe degli americani, passando per la magarìa e sfiorando il delitto d’onore rovesciato. Senza dubbio quello rappresentato è il pensiero di un classico in vita – Andrea Camilleri – messo magistralmente in scena da un altro classico in vita – Mondi Ovadia – che, dal giorno del sodalizio con Mario Incudine è diventato più siciliano di lui. Lo è nelle pose, nel tono della voce, nel pensiero che appare così estremamente sensato, pieno, arcaico e modernissimo allo stesso tempo. Riduttivo chiamare “spettacolo” quello messo in scena con la regia di Giuseppe Di Pasquale, è piuttosto un’opera che, una volta vista, sorbita, fruita, bevuta di gusto, entra dentro e lavora, lascia segni. Sa di polvere e sangue, sa di terrazze al mare e di lenzuola bianche, sa di ospitalità e tradimento. Sa di follia e di guarigione. Eccezionale la versatilità degli interpreti che in otto raccontano un mondo e un tempo. E il casello, la stazione, il binario, sono solo un espediente per risucchiare lo spettatore in una storia avvincente e variopinta, a tratti nera e rosso sangue, ma anche brillante della musica dal vivo, dei canti che si fanno ora odi, ora trenoi – lamentazioni greche – ora latrati di dolore che spaccano anche chi ascolta, invitando alla commozione, stringendo le gole, seccando i respiri. E se Moni Ovadia rimane esilarante e sapido, indimenticabile nei panni della mammana magara Ciccina, aulico come vox narrandi, supino nell’interpretazione del perverso e traditore, Mario Incudine con la sua interpretazione di Ninuzzo, raggiunge la sua maturità artistica e brilla, sempre, anche quando la scena si fa buia, nera, come la sua anima avvilita. Che dire di Valeria Contadino? una fiamma dolce e fiduciosa, la donna “sedula e lanifica” nel primo tempo, un’eccezionale espressione di mortificazione e dolore materno quando viene derubata di sé, massacrata, privata dell’equilibrio dei pensieri. Non c’è giudizio nell’opera, mai. Il regista rispetta sempre il suo spettatore e lascia che sia lui a scegliere cosa è bene, ma offre tantissimo su cui pensare. Eppure “Il casellante” non si pensa soltanto, è piuttosto un lavoro che lavora dentro la pancia e vive anche dopo che il sipario si chiude. E se Minica – Valeria Contadino – è una novella Dafne che implora una metamorfosi in albero, la citazione mitologica lascia spazio ad un futuro possibile che offre dei domani a tutti noi, anche se le bombe continueranno a fischiare e a cadere.