Via alle trivelle nel Mediterraneo: Greenpeace, Legambiente e WWF ricorrono in appello al TAR

redazione

Via alle trivelle nel Mediterraneo: Greenpeace, Legambiente e WWF ricorrono in appello al TAR

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venerdì 05 Giugno 2015 - 16:55

Greenpeace, Legambiente e WWF hanno deciso di appellarsi alla decisione del TAR del Lazio di respingere il loro ricorso contro il progetto di trivellazione in mare conosciuto come “Off-shore Ibleo” di ENI ed Edison. Il progetto prevede otto pozzi, di cui due “esplorativi”, una piattaforma e vari gasdotti al largo della costa delle province di Caltanissetta, Agrigento e Ragusa. Associazioni ambientaliste e amministrazioni locali avevano presentato un ricorso al TAR contro questo progetto, di cui è stata sancita la compatibilità ambientale senza che venissero nemmeno definiti – e tanto meno valutati – gli scenari di rischio rilevante e le possibili conseguenze.

“La sentenza del TAR conferma invece che nel nostro Paese attività pericolose come le trivellazioni in mare possono essere autorizzate- si legge in una nota di Greenpeace – senza alcuna valutazione dei rischi più rilevanti e dei conseguenti impatti ambientali”. 

 Secondo le associazioni ambientaliste, due capisaldi del ricorso non sono stati presi in dovuta considerazione. Con il primo si contestava il progetto di ENI ed Edison come non assentibile, per la presenza nell’area di habitat prioritari, dunque in violazione del DM 184/07. Con il secondo si contestava la decisione presa nel 2010 dai ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, con la quale il progetto era stato sospeso anziché archiviato, essendo intervenuto nel frattempo un preciso divieto di legge relativo alla distanza di queste attività dalla costa: il limite delle 12 miglia fissato dal cosiddetto “decreto Prestigiacomo”. Il progetto originario, peraltro, non prevedeva la realizzazione di una piattaforma offshore. Le deroghe sopravvenute con il “decreto Sviluppo” dell’allora ministro Passera non possono applicarsi, anche secondo il parere del Consiglio di Stato, a una modifica così sostanziale: la piattaforma è infatti uno dei fattori di maggiore pressione e di rischio per l’ambiente marino circostante.

 “Rispettiamo la sentenza del TAR, come ogni altra. Non entriamo nel merito delle valutazioni fatte, ma di quelle non fatte: il TAR omette infatti di pronunciarsi sulle questioni fondamentali del ricorso, come la presenza di habitat prioritari e il fatto che il progetto autorizzato differisca dal progetto originariamente presentato, prevedendo la costruzione di una piattaforma nel limite delle 12 miglia, in assoluta contrarietà al divieto introdotto dal “decreto Prestigiacomo” del 2010″, sostengono le associazioni. Come se non bastasse, nell’area del Golfo di Gela un altro progetto di Edison, quello della piattaforma VEGA B, che affiancherà l’esistente VEGA A, ha da poco ricevuto parere positivo. “I progetti con cui si vorrebbe saccheggiare il nostro mare continueranno a essere puntualmente contestati, e troveranno ancora opposizione da parte di associazioni ambientaliste e, siamo certi, di istituzioni, governi locali e cittadini dei territori interessati”.

 L’opposizione alle trivelle in Italia continua infatti a crescere. Come dimostrano sia la manifestazione di Lanciano, dove sono scesi in piazza oltre 50 mila cittadini, sia l’aumento delle contestazioni nei tribunali italiani. Ne è un esempio il ricorso da poco presentato da numerose associazioni contro la concessione di un titolo per la ricerca in mare di petrolio e gas davanti alle coste della provincia di Ravenna, dove si sta cercando di aggirare il limite delle 12 miglia imposto nel 2010 ai progetti di trivellazione, per aumentare le superfici sfruttabili dai petrolieri. A ciò, vanno aggiunte le lettere di diffida fatte dalle associazioni alla commissione VIA del Ministero dell’Ambiente, in relazione ai gravi errori rilevati dalle stesse associazioni nello Studio di Impatto Ambientale (SIA) presentato dalla Schlumberger per due progetti di ricerca offshore nel Canale di Sicilia. Tutti questi progetti hanno un comune denominatore: studi di impatto ambientale insufficienti e superficiali, e un’interpretazione delle leggi tutta a favore dei petrolieri.

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