In tutta Italia si stanno accendendo piazze, assemblee e manifestazioni per dire no alla guerra, no al genocidio in Palestina e a un sistema che alimenta profitti sulla pelle dei popoli. In questo contesto di crescente mobilitazione, si alza un grido d’allarme anche dalla Sicilia: l’aeroporto trapanese di Birgi è al centro di un progetto che prevede la realizzazione del più grande centro di addestramento per F-35 al di fuori degli Stati Uniti. Un progetto che — secondo i movimenti — rientra in una più ampia strategia di militarizzazione del territorio e di consolidamento del ruolo dell’Italia come piattaforma logistica e militare al servizio della NATO e degli interessi statunitensi. Una scelta che desta forti preoccupazioni non solo sul piano geopolitico, ma anche per le sue ricadute economiche, sociali e ambientali.
Un’“economia di guerra” che impoverisce
Il movimento Log-In, che si sta mobilitando contro la base F35 a Birgi, fa sapere: “Il dissenso non è solo morale, ma anche economico: la prossima legge di bilancio prevede oltre 12 miliardi di euro per la spesa militare, una cifra che continua a crescere anno dopo anno. Secondo le voci critiche, questo orientamento rappresenta una chiara scelta politica: meno risorse per sanità, scuola e servizi pubblici, più fondi per armi, basi militari e strategie belliche. A preoccupare è anche l’adesione silenziosa ai diktat degli Stati Uniti e della NATO. L’ex presidente Donald Trump aveva promesso di portare la spesa dei paesi europei al 5% del PIL per la difesa. E oggi l’Italia, con governi di diverso colore, sembra seguire questa linea senza alcuna discussione pubblica o confronto democratico. Altro che autonomia strategica europea: si stanno rafforzando le logiche di sudditanza”.
Birgi trasformata in base militare: “Non nel nostro nome”
A Birgi, quello che fino a pochi anni fa era un aeroporto civile strategico per lo sviluppo del turismo nella Sicilia occidentale, rischia di diventare uno snodo centrale della macchina bellica occidentale. L’arrivo degli F-35 — caccia da combattimento prodotti da Lockheed Martin — è un segnale chiaro di come il governo Meloni intenda utilizzare le infrastrutture del Sud non per rilanciarne l’economia, ma per farne strumenti di guerra. Movimenti locali e nazionali denunciano un colpo di mano, avvenuto nel silenzio generale dei media e delle istituzioni locali, e rilanciano l’invito alla mobilitazione popolare: “Non è accettabile che un intero territorio venga sacrificato per fini militari. Vogliamo vivere in una terra di pace, non diventare obiettivi militari in uno scacchiere geopolitico che non ci appartiene”. “La forza popolare è decisiva”, dichiarano i promotori della campagna contro la militarizzazione di Birgi. “Siamo in un momento storico in cui mobilitarsi è un dovere etico e politico. Non possiamo rimanere in silenzio mentre il nostro paese viene trascinato in una deriva bellicista e autoritaria”. Chi desidera partecipare alle iniziative contro la militarizzazione del territorio e l’economia di guerra può mettersi in contatto tramite i canali social del movimento Log-In o telefonare al numero: 345 434 9158.