L’epilogo della vicenda legata alla cittadinanza onoraria alle ONG Jugend Rettet, Save the Children e Medici Senza Frontiere è emblematico di un’Italia che fatica a trovare un equilibrio tra la politica e il senso più profondo dell’umanità. Il Consiglio comunale di Trapani, convocato per deliberare sul riconoscimento agli equipaggi impegnati nei salvataggi nel Mediterraneo, si è dissolto nel vuoto della paralisi istituzionale, sospeso per mancanza del numero legale. A sancire questo esito non è stato un dibattito serrato, ma una dinamica già vista nei palazzi della politica italiana: l’opposizione, capeggiata dal centrodestra e galvanizzata da Fratelli d’Italia, ha abbandonato l’aula, facendo naufragare la discussione. Il sit-in organizzato dalla destra davanti a Palazzo Cavarretta, pur con una partecipazione modesta, ha ottenuto il risultato sperato: affossare simbolicamente l’iniziativa voluta dall’amministrazione del sindaco Giacomo Tranchida.
Eppure, il caso delle ONG nel Mediterraneo non dovrebbe essere una questione da relegare agli steccati ideologici. Il punto cruciale è che la proposta di cittadinanza onoraria giunge al termine di un lungo iter giudiziario che ha visto il Tribunale di Trapani sancire il “non luogo a procedere” per l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dopo anni di sospetti, accuse e strumentalizzazioni, la giustizia ha stabilito che le organizzazioni umanitarie non hanno commesso reati. Dunque, perché un riconoscimento simbolico, volto a premiare l’azione umanitaria di chi salva vite in mare, diventa terreno di scontro politico? La risposta si annida nella polarizzazione che, da anni, avvelena il dibattito sui flussi migratori in Italia. Da una parte, il centrodestra – con la Lega in prima fila – continua a dipingere le ONG come strumenti di un presunto “piano di invasione” orchestrato ai danni dell’Italia, una narrazione propagandistica utile a capitalizzare il consenso elettorale. Dall’altra, un centrosinistra diviso, incapace di compattarsi per difendere un principio basilare: il diritto alla vita non può essere oggetto di contrattazione politica.
Ma il punto più grave della vicenda è il segnale che ne scaturisce. Il Consiglio comunale di Trapani aveva l’opportunità di inviare un messaggio forte e chiaro: il soccorso in mare è un dovere morale, oltre che giuridico, e chi si adopera per salvar vite merita rispetto, non demonizzazione. Invece, il dibattito è stato soffocato in un clima di tensione e boicottaggio, con un’opposizione pronta a sabotare il confronto pur di non affrontare la questione nel merito. Il sindaco Tranchida ha denunciato la strumentalizzazione politica e il tentativo di intimidazione nei confronti della sua amministrazione. La sua affermazione secondo cui “il marinaio trapanese da sempre soccorre chi è in mare” è un richiamo alla tradizione, alla storia, alla cultura marinara che insegna la sacralità del salvataggio, indipendentemente dalla provenienza o dallo status giuridico di chi rischia di annegare. Resta ora da capire quale sarà il futuro della proposta di cittadinanza onoraria, ma la frattura è ormai evidente.
La destra cittadina ha fatto quadrato per bloccare il riconoscimento, avallando una visione in cui la solidarietà viene declinata in base alle convenienze politiche del momento. Nel frattempo, il mare continua a inghiottire vite, e chi tende una mano per salvarle viene ancora, paradossalmente, messo sotto processo, se non nelle aule di tribunale, almeno nell’arena della politica. La questione va oltre Trapani, oltre le sigle delle ONG, oltre le bandiere di partito. Parla dell’Italia e della sua capacità – o incapacità – di riconoscere il valore della solidarietà senza piegarla alle logiche di consenso. Se il dovere morale di salvare vite umane diventa un pretesto per battaglie ideologiche, il rischio è quello di smarrire non solo il senso della politica, ma anche quello dell’umanità.