Anatomia di un suicidio

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

Anatomia di un suicidio

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domenica 17 Novembre 2024 - 07:30

(Come darsi scacco matto, in poche semplici mosse)

Donald Trump è la perfetta nemesi dei Democratici americani. Rappresenta la vendetta simmetrica rispetto a quel progressismo moralista e bacchettone di sinistra che, aspirando a dipingersi bello, buono e giusto, ha finito per dare vita all’inevitabile: un Mostro ingombrante e spaventoso, dalle sembianze di un vecchio babbione con una banana piantata in testa.

Se ne facciano una ragione le anime pure del political correct, disseminate in giro per il mondo, che all’indomani del tracollo del partito democratico alle recenti elezioni presidenziali americane, hanno gridato alla catastrofe, in uno scenario da cupio dissolvi collettivo. No, il mondo verosimilmente non finirà nemmeno a sto giro. Ma di certo non sarà un bello spettacolo d’ora in poi.

C’è da essere molto arrabbiati con questa sinistra americana. E non ci sono giustificazioni che tengono. L’intellighenzia democratica, responsabile di averci portato fin qui, dovrà rispondere del proprio operato non solo di fronte all’elettorato dei moderati americani ma anche davanti a chi, nel mondo occidentale, ha ancora a cuore le sorti della democrazia.

Le responsabilità sono tutte lì sul tavolo. Non ultima quella di aver consegnato le sorti del mondo al nemico repubblicano più radicale di sempre, in uno dei periodi storici più difficili e complicati dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Un nemico che non ha fatto mai mistero del suo programma estremista e massimalista: pugno duro contro aborto e immigrazione irregolare, lager, purghe e deportazioni per i clandestini, smantellamento di quello che rimane dello stato sociale, revoca delle misure rivolte alla protezione del clima e dell’ ambiente, protezionismo e isolazionismo in campo economico, militarismo strisciante, sfoggio delle armi, smantellamento dell’alleanza atlantica, pericoloso riposizionamento strategico sui conflitti in corso, soppressione del dissenso. E chi più ne ha più piu ne metta.

E siamo solo all’ aperitivo, tenendo conto di come la Propaganda, non proprio conciliante di Trump, porterà ad inasprire in maniera drammatica i conflitti con l’altra metà degli americani contrari alla linea. Mentre il rischio della guerra civile dietro l’angolo non sembra più un vecchio e imbarazzante film di fantascienza. Davvero niente male come regalino sotto l’albero di Natale per quest’anno.

Di fronte a tutto ciò, ci si chiede, che fine abbiano fatto le istanze del partito democratico nell’ultima campagna elettorale, fagocitata dall’inizio alla fine dall’ombra minaccisa del tycoon newyorkese. Non pervenute, pare. Il pensiero politico democratico è, come dire, rimasto con il colpo in canna.

Eppure non c’è bisogno di scomodare la filosofia. Basta essere un filo realisti. La politica è dinamismo, contraddizione, contrasto, diversità, opposizione e conflitto. Ebbene, per tutta ripicca, i democratici hanno invece scelto di non affrontare quei temi dalla prospettiva che gli competeva. Un po’ perché non avevano molto da dire: “tempesta di cervelli” verrebbe da dire, citando Homer Simpson. Un po’ per non fare arrabbiare gli amichetti delle lobby. Un po’ per convenienza, perché, ammettiamolo: se solo avessero tirato in ballo un paio di temi della sinistra verace, avrebbero racimolato appena la metà dei voti che hanno infine raggranellato. E quindi, alla fine della fiera, per Kamala Harris la strategia dell’opossum è sembrata la più adatta alla bisogna, dal momento che si sposava perfettamente con il suo aplomb.

Peccato ancora una volta che chi si ostina a vivere in una bolla, in perfetta contemplazione del sé, beandosi dei propri principi, delle proprie convinzioni, affrettandosi ogni volta a puntare il dito verso le colpe degli altri (gli elettori cattivi, ignoranti, fascisti, neonazisti) non solo danneggia la collettività privandola degli argomenti necessari all’agone politico, ma contribuisce alla legittimazione di quel Mostro che finisce inevitabilmente, nella migliore delle ipotesi, per dilaniarlo a brandelli. E così è stato.

La finta sinistra che da oltre un decennio va in scena nell’immaginario collettivo, spinta a forza dai maitres a penser d’oltre oceano, attenti più che altro a incassare i trionfi del proprio solipsismo, ha finito così per mandare al macello i concetti basilari che dovrebbero animare le forze alternative contro quelle conservatrici: la giustizia sociale, la giusta distribuzione della ricchezza, il lavoro equo, la giusta retribuzione, l’innalzamento degli standard culturali. Oltre alla pletora di diritti umani e civili che da sempre accompagnano il pensiero progressista e liberale.

Peccato che però nessuno di questi temi abbia risuonato durante i comizi di quella che qualcuno ha definito, la campagna elettorale più triste ed imbarazzante messa su da un partito democratico americano. Al contrario, invece, nelle declinazioni in cui si è manifestata, questa falsa sinistra non ha nascosto il suo naturale penchant verso l’ oligarchia (la nomina per imposizione divina della Harris, senza il passaggio democratico delle primarie) e l’insopportabile presunzione di un’esclusiva culturale che ha portato nel tempo ad una militarizzazione politica di Università, Magistratura e … Hollywood.

E veniamo al cuore del problema, croce e delizia di questa sopraffina strategia fallimentare. I democratici d’oltre oceano sembrano aver scambiato il concetto di “inclusione” per uno dei tanti sinonimi di “politica” tout court. Avranno confuso, come spesso succede, la parte per il tutto. Non può essere altrimenti. E al passaggio successivo hanno finito per legare i propri destini alla strenua difesa di quei Diritti, LGBTQ + plus. Diritti sacrosanti e inalienabili, certo, ma che da soli non possono bastare a parlare alla pancia della gente.

Non contenti di ciò, a protezione di questa idea, i democratici hanno imbastito un rigidissimo codice di comportamento e di espressione che va sotto il nome, ormai famigerato, di Political Correct. O stupidamente corretto. O meglio: Follemente corretto. Quest’ultima: citazione del titolo di un libro di Luca Ricolfi, recentissimo, che consiglio a tutti quelli di sinistra e non, per non avere più dubbi a tal riguardo. Insomma, dalle strettezze di quell’angolo cieco, questa sinistra non pare essere mai più uscita.

L’altro albero a cui la sinistra è corsa inspiegabilmente ad impiccarsi, senza avere un briciolo di pietà per sé stessa, è quella che la vede impegnata sul versante della storia: “Occidente uguale Suprematismo Bianco”. Con il corollario incomprensibile, ai limiti del patologico, del senso di colpa dell’uomo bianco che, come un novello Cristo, accetta di farsi carico e di assumere su di sé tutte le colpe di un passato coloniale, fatto di violenza e sopruso dell’Occidente, nei confronti principalmente dell’uomo nero e dei latinos, oltre che dei nativi pellerossa americani. Insomma, il tema della riscoperta del mito del Buon Selvaggio di Rousseau.

Si è cominciato quasi in sordina, qualche anno fa, con la rimozione coatta delle statue in piazza del bianco conquistador Cristoforo Colombo, si è continuato con la predicazione urbi et orbi dei capisaldi della cultura “woke”, estremista e divisiva che, piuttosto che creare inclusività, come da protocollo, ha finito invece per scavare un solco incolmabile fra le due anime dell’essere americano.

Cito pari pari da un maestro del giornalismo italiano, di cultura di sinistra e profondo conoscitore delle cose americane, Federico Rampini in “Grazie! Occidente”:

“Nel clima di appiattimento culturale, di conformismo e di indottrinamento che domina tante scuole e università, l’Occidente subisce un processo costante a senso unico, è l’imputato messo alla sbarra per avere soggiogato e impoverito le altre civiltà”. Il tutto, fa notare l’autore, mentre il futuro prossimo minaccia di trasformarsi sempre più in un enorme trappolone per l’Occidente: con la Cina sempre più assertiva oltre che competitiva, la Russia che non pare abbia intenzione di mollare la presa sulla ricostruzione del suo ex impero sovietico e, infine, il buon vecchio Islam, con la sua carica endemica di fondamentalismo che non lascia dormire sonni sereni a nessuno.

Tutto questo rischia di metter sotto scacco l’Occidente del tanto vituperato uomo bianco. E in questo preciso momento di caos planetario, la sinistra “illuminata” che fa? Paradosso dei paradossi, non trova altro di meglio da fare, in questa assurda visione post ideologica, che auto-incaprettarsi, scegliendo come battaglie principali: i diritti delle minoranze, la difesa del clima, il senso di colpa mai sopito per il passato coloniale… consegnandosi così mani e piedi alle grinfie di Trump & co.

Una sinistra molto confusa, dunque, per usare un eufemismo, e per questo molto pericolosa. Una sinistra orfana dei valori di un tempo e che, nello sforzo di farsene di nuovi, ha subito un processo di involuzione terrificante, allontanandosi in maniera radicale dal proprio punto di applicazione originario.

L’unico ambito in cui sembra mostrare un minimo di assertività è nella volontà di creare un establishment culturale su misura, quello in cui i propri membri possano riconoscersi e contarsi, nella convinzione forse che valgano più le forme esteriori che la vera sostanza delle cose. Elitismo che, evidentemente, non sembra aver dato i frutti sperati se, le simpatie degli indecisi outsider americani, sono state dirottate altrove.

Ma chi sono questi democratici ? Se si va ad analizzare il dato del voto del 4 novembre, i democratici americani sono quelli che vivono nelle metropoli delle due coste, ricche e culturalmente avanzate, sono altamente scolarizzati, mandano i figli nelle migliori Università private, guadagnano in media tre o quattro volte di più rispetto alla media degli Stati Uniti profondi del centro e del sud. Dall’alto delle loro posizioni elitarie risulta pertanto gratificante oltre che fruttuoso professarsi “inclusivi”, coltivare per moda il senso di colpa occidentalista, professarsi terzomondisti, solo perché fa figo, facendo finta magari di non accorgersi che c’è gente che muore di fame davanti alla porta di casa loro.

Per finire. Con che diavolo di credibilità e autorevolezza questo nuovo animale sociale che si riconosce in questa nuova elite, così molle e schifiltosa, dovrebbe rappresentare i conflitti sociali alla base della mutevole e complicata società moderna ? E al contrario, perché mai, il cittadino medio di uno stato del sud, dovrebbe essere attirato da un signorino impettito che lo tratta con un atteggiamento di supponenza, con l’aria di chi gli vuole impartire una lezione che non ha capito manco lui?

Ecco, questo atteggiamento sprezzante, i “redneck” dell’America profonda, che all’incirca corrisponderebbero ai villici di casa nostra, non sono più disposti ad accettarlo. E non solo, non c’è verso di fare loro comprendere che il partito democratico è li’ per difendere i loro interessi. In realtà hanno capito fin troppo bene. Per questo non esitano a disprezzare i democratici e le loro false lusinghe e ovviamente, quasi per sfregio e per ripicca, nel buio e silenzio dell’urna scelgono “anema e core” Donald Trump. Anche se nella testa del Tycoon continuano a crescere le banane. E quindi, per dirla alla Elon Musk (l’altra inquietante figura protagonista di questo scorcio di secolo altamente bizzarro): Game / Set / Match …

Venendo a casa nostra, quante di queste linee guida qui tracciate per capire la sinistra americana non aiutano a spiegare la crisi di identità che attraversa ormai da decenni la sinistra in Italia e in Europa ? Forse è arrivato il momento per le forze progressiste che hanno a cuore le sorti delle classi più deboli, della giustizia sociale e di un piano culturale finalmente alternativo, di abbattere vecchi e nuovi simulacri, per dedicarsi una buona volta ai veri problemi delle persone. Sempre che le persone non gli facciano troppo schifo.

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