Tucidide nella biblioteca di Putin

Sebastiano Bertini

Lo scavalco

Tucidide nella biblioteca di Putin

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mercoledì 16 Novembre 2022 - 08:57

Misticismo e logica in una strana Siberia

Nella biblioteca di Putin, sono pronto a scommettere, ci sono tre libri, uno a fianco dell’altro: gli scritti dell’antico Tucidide sulle guerre del Peloponneso, il mattone di Robert Gilpin War and Change In World Politics, 1981, lo scritto di Graham Allison, pubblicato nel 2017 ma nato a ruota di un intervento del 2012 sul Financial Times, Destined for war: can America and China escape Thucydides’s trap?.

Tre stepping stones, che potremmo anche azzardare a considerare come coordinate del pensiero del leader russo. Tracce orientanti; si, ma talmente “calde” da assomigliare a demoni, ossessioni.

Linee direttrici perché, messe in fila, connettono l’Essere e il Tempo della Russia di oggi: Guerra e Destino. Tarli del pensiero perché nella parte finale della loro parabola lasciano questo “mondo di là” in disparte, declassato a “potenza regionale” secondo la formula di Obama.

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Tutto inizia nel Peloponneso, 400 anni abbondanti prima del nostro Zero.

Il racconto delle vicende di Atene e Sparta serve a Tucidide per dar forma ad una delle idee-scintilla del pensiero occidentale: la conoscenza dei fatti del passato è il vero strumento per agire nel futuro.

Alla radice, vi è la scoperta della continuità. Il perno che tiene a sé tutti gli sviluppi della Storia è l’uomo con il suo dáimon, con il suo insopprimibile desiderio di áuxesis, “accrescimento”. Soldi e potere.

La “persistenza” si muove in cerchio. E il mondo di Tucidide ne è determinato.

Calati in questi abiti, gli eventi antichi possono essere usati come mappa del presente.

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Storia, per sommi capi.

Sparta, monarchia di terra, deve confrontarsi con la vasta e espansiva rete talassocratica di Atene. Al termine di una prima fase di ostilità, un flebile accordo tiene separate le aree di influenza delle rispettive super-potenze.

Giunto debolissimo: Corinto. La città è alleata di Sparta ma schiacciata commercialmente dalla flotta ateniese che abbraccia l’intero Egeo.

Atene è forte, riesce a soffocare le “operazioni di disturbo” altrui, riceve grandi tributi, in cambio di protezione, dagli aderenti alla sua Lega. È vero anche però che è piuttosto sovraesposta: si è allungata troppo in Egitto.

Nel 432 la Lega del Peloponneso si riunisce e decide di aprire le ostilità. Risulta, in succo, insopportabile la tendenza di Atene a metter mano ovunque, pure nelle vicende delle colonie Spartane.

La guerra è logorante. Atene, alla fine, perde. Il suo mondo politico è infranto: Sparta smonta la sua democrazia.

Ma anche la monarchia dei Lacedemoni è prosciugata. Anzi, l’Ellade è prosciugata e si prepara all’età dei nuovi dominatori, i macedoni.

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Robert Gilpin, in piena Guerra Fredda, nel suo War and Change, si mette al lavoro per estrarre da Tucidide un’altra legge generale.

Ben schierato dalla parte della talassocrazia USA, guarda sulla sponda opposta il claudicante regno di terra URSS.

Il distillato è questo: nello scacchiere internazionale non è possibile alcuna stabilità internazionale senza una potenza egemone.

Ogni sistema politico ha la sua ragion d’essere nella difesa degli interessi di chi l’ha creato. Per questo ogni cambiamento può essere interpretato come pericolo. Ogni sfida all’egemonia può squassare le fondamenta di ogni sistema di alleanze nella sua interezza.

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2012. Allison, tira le somme.

La sfida all’egemonia porta, inevitabilmente, alla guerra. Ecco la Trappola di Tucidide.

Ma attenzione, a URSS decaduta e ufficialmente separata, il nuovo opponente è la Cina.

Il suo gruppo di lavoro, relativo al Belfer Center di Harvard, analizza sedici scenari di innalzamento della tensione nei rapporti sino-statunitensi. Su sedici, dodici portano al conflitto. Il titolo del libro di qualche anno dopo, Destined for War, parla da solo.

Secondo questa logica tutte le dichiarazioni di Xi – famosa proprio quella del 2012 allo US-China Strategic and Economic Dialogue – sulla necessità di un ordine mondiale in cui diversi modelli politico-economici convivono pacificamente sono acqua fresca.

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Ancora 2012. Marzo. Alle elezioni Putin porta a casa senza problemi il terzo mandato, seppur con un 60% calante.

Agosto. Esce sul Financial Times l’articolo di Allison Thucydide’s trap has been sprung in the Pacific.

Potremmo anche prenderci la libertà di immaginare in nostro quasi-zar intento, nella sua lussuosa sala da lettura, a rimuginare pieno di dissenso.

Dissenso perché Putin, che ben conosce il cinismo occidentale, non ne accetta l’assunzione americanissima a principio generale di razionalità. Soprattutto quando la Russia finisce in disparte.

Va detto che in Putin potremmo spingerci a delineare una sorta di animo mistico, soprattutto osservando la sua galassia di pensatori e modelli.

Il primo, e più evidente, riferimento è quello di Alekandr Dugin, latore di un Destino “neo-eurasiatico” che risulta dall’impasto inedito di Evola, Guénon, e Heidegger.

La palingenesi Duginiana della Russia passa dalla formulazione di uno pseudo-paganesimo e di una pseudo-antropologia anti-occidentale che ritorna addirittura – da manuale – alla fumosa antichità degli Ariani.

Esito interessantissimo è nella geografia mistica dell’Asia, che superando in fantasia i falsi storici nazisti, e facendosi pure beffe della nascita indo-iranica dell’ariyà, identifica nella Siberia il centro emanativo dell’ecumene asiatico.

Il cuore glaciale asiatico l’immacolato diviene il serbatoio di “arianità” pronto a alimentare rivoluzione contro l’Occidente, Destino geopolitico quanto cosmico di una riunificata Eurasia.

Russia Unita, il partito Putin, accogliendo in seno il Movimento Internazionale Euroasiatista, in qualche modo “mette a terra” anche queste idee e queste modalità. Lo si può capire dalle dichiarazioni di Putin, soprattutto quando si lascia scappare che una parte delle sue scelte è orientata da un poco chiaro “Piano” profetizzato da Filofej di Pskov, primo autore nel secolo XV dell’idea “geo-ierofanica” di “Mosca terza Roma”.

Lo stesso atteggiamento è visibile nel libro – davvero troppo poco attenzionato – che lo stesso Putin ha dato alle stampe nel 2021: Sull’unità storica di russi e ucraini.

L’idea pseudo storica che fa di Grandi russi, Piccoli russi (gli ucraini), e Bielorussi un popolo “triuno” non è solo una fandonia preparatoria all’azione militare (si veda il parere del Carnegie Endowment for International Peace), ma anche la manifestazione di un’idea spirituale che, secondo Putin, deve conferire al popolo russo un orizzonte di senso. In questo orizzonte si rispecchiano le “Z” – zapad, ovvero Occidente – sui carri armati invasori.

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E quindi, sarebbe bastata una scorsa alla biblioteca del leader russo per prevenire la guerra? Forse no.

Probabilmente, però, ci potrebbe dire di più sulla radicale inevitabilità della Trappola di Tucidide per Putin.

Mentre oggi, 14 novembre, tra Xi Jinping e Joe Biden tentano una stretta di mano, lassù la Siberia, attende gelida.

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

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