Scrive Filippo Piccione sugli eroi antimafia e il mancato ricordo di Pio La Torre nel discorso di Giorgia Meloni

redazione

Scrive Filippo Piccione sugli eroi antimafia e il mancato ricordo di Pio La Torre nel discorso di Giorgia Meloni

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sabato 29 Ottobre 2022 - 11:32

Gentile direttore,

nell’elenco delle vittime della mafia, che fa parte del discorso di Giorgia Meloni tenuto alla Camera, riassunto puntualmente dal suo giornale, non viene menzionato il nome di Pio La Torre. Poiché sono certo che si è trattato di un’omissione non voluta, approfitto per dire alcune cose sulla sua figura politica , intellettuale, umana ormai consegnata alla coscienza comune degli italiani e, in particola re dei siciliani. Aggiungo che tutti coloro che sono stati citati dal/la presidente del Consiglio meriterebbero di essere, non soltanto nelle grandi occasioni, ricordati e additati come esempio di coraggio, di impegno civico e morale fino al sacrificio estremo della loro vita per impegnarsi a fare qualcosa di più e di meglio per la legalità. Questo vale per le donne che hanno dato lustro e prestigio all’Italia, citate dalla stessa Giorgia Meloni cui sarebbe stato opportuno far seguire il cognome allo scopo di dare maggiore risalto all’insegnamento che ci hanno lasciato e del quale occorre continuare ad avvalersi per alimentare e diffondere in ogni piega della società e nell’ambito delle istituzioni democratiche che ci rappresentano più incisività e coerenza.

Nella sua replica la neo presidente del Consiglio dei ministri è tornata a parlare della lotta alla mafia e nell’indicarne i mezzi più efficaci per contrastarla, ha fatto riferimento al sequestro e alla confisca dei beni e dei patrimoni illecitamente acquisiti dalla mafia. Forse per l’economia del suo intervento ha tralasciato di rilevare che la legge numero 646, del 13 settembre 1982, nata come legge Rognoni-La Torre aveva introdotto per la prima volta nel codice penale l’articolo 416bis che, tra l’altro, prevede il reato di “associazione di tipo mafioso” e la conseguente introduzione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. E’ il caso di ricordare che il testo normativo traeva origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati il 31marzo 1980 che aveva, come primo firmatario, l’on. Pio La Torre, alla cui formulazione tecnica collaborarono due giovani magistrati della Procura della Repubblica di Palermo che si chiamavano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

A tal proposito desidero ricordare che una decina di anni fa Attilio Bolzoni ha pubblicato un libro intitolato Uomini Soli – Pio La Torre e Carlo Alberto Carlo Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Questi quattro italiani sono stati glorificati soltanto dopo la celebrazione dei loro funerali. Per quanto riguarda Pio La Torre, l’autore, che da giovane giornalista ha avuto modo di conoscerlo, lo definisce “il nemico di tutte le ingiustizie”. Figlio di contadini, sindacalista e capopopolo negli anni infuocati del separatismo e dell’occupazione delle terre, segretario regionale del Partito Comunista Italiano, deputato per tre legislature, era nato a Palermo alla vigilia di Natale 1927 e morto a Palermo alla vigilia del 1° maggio del 1982.

Prima di ritornare in Sicilia, Pio La Torre firma una proposta di legge che precede la 646 e che ha come titolo “Norme di prevenzione e di repressione del fenomeno della mafia e costituzione di una Commissione parlamentare permanente di vigilanza e di controllo. La sua proposta mira a classificare per la prima volta la mafia, tutta la mafia, come “associazione per delinquere”. Sia detto fra parentesi che in questo disegno sarebbe stato giusto far rientrare, sia pure a distanza di 35 anni, anche “Mafia Capitale”.

Il disegno contiene norme stringenti per il controllo dei patrimoni, per l’assegnazione degli appalti pubblici, per l’abolizione del segreto bancario. Oltre che la confisca e il sequestro dei beni di tutti coloro che vengono riconosciuti e condannati come mafiosi. La sua è un’”invenzione” che ribalta un secolo di giurisprudenza. Un fatto rivoluzionario senza precedenti.

I boss mafiosi lo capiscono per primi e si agitano. Ma si agita anche il mondo politico contiguo a Cosa nostra.

Scrive Attilio Bolzoni – un cronista tra i più colti e sensibili che ha avuto modo di frequentare i quattro protagonisti della sua lunga narrazione di una Sicilia insanguinata e mai rassegnata: “Una solitudine generata da interessi di cosca o di consorteria, meschinità più nascoste e colpevoli indolenze sono state decisive per trascinarli verso una fine violenta”. “Prima di iniziare a scrivere il suo libro – l’autore tiene a far sapere – di aver raccolto vecchie istruttorie e qualche sentenza…Non sono arrivato in fondo. Non ce l’ho fatta. Sapevo già come finiva la storia di questi uomini soli”. Vite scivolate in un cupo isolamento pubblico e istituzionale spesso coperto da un branco di indifferenti che tutti insieme li hanno accompagnati fino agli agguati e alle bombe.

Filippo Piccione

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