Partiamo dal linguaggio

redazione

Apertura

Partiamo dal linguaggio

Condividi su:

martedì 09 Marzo 2021 - 08:00

Sei femmina, non puoi giocare a calcio”, “Sei nervosa, hai il ciclo?”, “Guidi bene per essere una donna”, sono tutti gli stereotipi che sentiamo ripetere ancora oggi. Stereotipi non del tutto superati e frutto della società patriarcale che rappresenta il nostro passato, un passato che non va rinnegato, va studiato per crescere, cambiare, chiedere maggiori tutele contro le violenze perpetrate nei confronti della donna. Dall’inizio dell’anno, sono 11 le donne vittime di violenze domestiche, da Nord a Sud (due in Sicilia). Stereotipi da valicare a partire dal linguaggio e sin dalla scuola materna. Perché già alle elementari l’alunno manifesta atteggiamenti di ‘machismo’ nei confronti delle compagne, che dipende soprattutto dall’educazione familiare. Ma anche una bambina deve essere educata a comprendere quali comportamenti sono sbagliati, deve poter avere la chiave d’accesso per dire no. 

Operatrici dei centri antiviolenza di Olbia e Oristano, con la coordinazione di alcune studentesse, hanno ricostruito un interessante “Alfabeto degli Stereotipi” dalla A alla Z. Dalla A come “l’Amava troppo…”, passando per la M di “Moglie, madre…. e ingegnere”, fino alla Z di “Zitella, acida e infelice”. Scorrendo l’alfabeto ci si può accorgere come queste frasi le abbiamo ascoltate tutte, le abbiamo lette nei quotidiani, altre sono le “motivazioni” usate da chi ha ucciso la propria moglie, madre, ex, motivazioni molto spesso passate per “giustificazioni”. Non lo sono.

Non si può uccidere o violentare per una gonna corta, perché “frequentava le persone sbagliate”, perchè nell’intimità si è fidata del suo partner.

Quante volte ci siamo sentite dire “Ma quando ti sposi?”, “Ma figli ancora niente?”, domande che, seppur figlie degli stereotipi di cui sopra, non devono recare imbarazzo, perché si può fornire una risposta serena, decisa, senza vergogna. 

Partire dal linguaggio dicevamo. Tantissimi movimenti a tutela della donna nonché i centri antiviolenza del Paese ci lavorano da tempo, partendo dalla declinazione al femminile dei ruoli e della professione che riveste una donna all’interno di una società. Lavoro che può essere smontato dalla presenza al Festival di Sanremo di una direttrice d’orchestra, ovvero Beatrice Venezi, che dichiara pubblicamente di voler essere chiamata “direttore” perché il suo è un ruolo specifico e il talento prescinde. In realtà la sua approssimativa esternazione sul palco dell’Ariston si presta a diverse interpretazioni. Restando fermo il fatto che la Venezi può preferire un appellativo piuttosto che un altro, perché la libertà di pensiero è sacrosanta, enunciarlo con così pressappochismo nel più grande evento della tv pubblica italiana, è stato un passo falso che sta creando parecchie divisioni. 

Senza giocare di fantasia, nel rispetto della lingua italiana, bisogna iniziare a dare una coniugazione al femminile delle cariche rivestite dalle donne, visto che la nostra grammatica lo consente specificatamente. A tal proposito è intervenuta l’Accademia della Crusca, definendo legittimo l’uso della Venezi di “direttore” seppur “da alcuni definita ideologicamente arretrata”, ma che sono corretti anche “direttrice” e, addirittura, “direttora”. 

Ciò denota soltanto che bisogna seriamente affrontare i temi degli stereotipi di genere nelle più alte sfere istituzionali.

Condividi su:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commenta