“A Scurata”, Talassa e Colapesce al chiaro di Luna: successo della “Sipario” all’Antica Salina Genna

Tiziana Sferruggia

“A Scurata”, Talassa e Colapesce al chiaro di Luna: successo della “Sipario” all’Antica Salina Genna

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sabato 22 Agosto 2020 - 13:28

La forza del dialetto, la melodia allegra della musica popolare, la potenza secolare del “Cunto” che si tramanda di padre in figlio, di popolo in popolo e che assume, col tempo, il posto d’onore che gli spetta. La compagnia teatrale Sipario diretta mirabilmente da Vito Scarpitta ha, come sempre, ben cuntato una storia tutta siciliana, una delle più antiche leggende della nostra terra.  E così, mentre tenera scendeva la notte su quel mare fatato della Laguna, evocato dalle voci narranti degli attori, ci è parso di vedere Colapesce, da lontano, riemerso per un attimo dalle acque, curioso di riascoltare la “sua” storia”.

Una dichiarazione d’amore nei confronti del mare, la metafora dell’uomo che vuole perdersi negli abissi e poi risalire vivo e più forte di prima. La leggenda di Colapesce è la metafora di chi vuol ritrovarsi e raccontare la propria esperienza di uomo che diventa ciò che desidera, che sa realizzare anzi i suoi sogni nonostante le difficoltà. La leggenda del giovane siciliano Colapesce, non è però solo una storia di mare. E’ sopratutto una storia di terra aspra e bellissima, una terra selvaggia e dura, piena di grandi contraddizioni e sconvolta da terremoti ed eruzioni vulcaniche. E’ la storia più classica di Sicilia, terra che spesso (e a questi corsi e ricorsi siamo ormai abituati), chiede ai suoi figli di essere eroi, o meglio di diventare eroi solitari che si immolano perché Lei possa riprendere fiato, riassestarsi, ritrovare un equilibrio.  Colapesce è un altro dei tanti eroi siciliani, eroi solitari ai quali siamo debitori di quel cambiamento troppo spesso annunciato, atteso e quasi mai realizzato. Colapesce ama conoscere, sondare le profondità del mare, i suoi misteri più nascosti, ama vedere la realtà e non finge. Dal momento in cui scopre che la sua amata terra è in pericolo, sceglie di fare il proprio dovere fino in fondo anche se questo significherà estremo sacrificio.

La Leggenda del giovane Colapesce è Mito e come tale supera il Tempo, le epoche, eppure, Colapesce è profondamente umano nella sua straordinaria essenza. Figlio di poveri pescatori, cresce fra gli stenti della sua gente. Intorno a lui reti, nasse, barchette con cui prendere il mare e buscarsi il pane quotidiano, un pane che costa tempo e salute, un pane che esige dedizione e preghiera. Colpapesce è figlio di una terra fatta di uomini e donne umili, con le mani tormentate dall’acqua, dalle ferite, dall’instancabile lavoro quotidiano, una miscellanea di umanità fatta di “ora et labora”, un dictat che è sottomissione alla propria vita ma anche speranza per un futuro migliore. La simbiosi perfetta fra Colapesce e quel mare tanto amato però diventa sempre più evidente. Il giovane pescatore nuota e si immerge in quei flutti che gli altri suoi vicini di casa temono e rispettano. Colapesce è sempre più in sintonia con quelle acque che lo avvolgono e lo seducono sempre più. Talassa, la Divinità fecondatrice del mare e che insieme a Ponto genera i pesci, esercita sul giovane pescatore un’attrazione sempre più forte, irresistibile, tanto da indurlo a passare più tempo in acqua che sulla terra ferma. Quando Colapesce riemerge dalle acque, racconta di ricchezze, di città antiche e sommerse, di bellezze celate negli abissi più reconditi, di navi cariche di tesori, di armi lucenti e foreste di corallo.

Le gesta mirabili di Colapesce giungono alle orecchie dell’Illuminato sovrano Federico II di Svevia che vuol conoscerlo personalmente. Attratto dalla Fama di questo giovane pescatore, vuol metterne alla prova l’ abilità di cui tutti parlano. L’Imperatore dapprima getta in mare una coppa d’oro piena di gioielli e poi la sua corona. Colapesce si tuffa e va a prenderle ma riemergendo, dopo essere andato sempre più in profondità, è terrorizzato: la sua amata Sicilia rischia di sprofondare perché una delle 3 colonne su cui poggia, è seriamente compromessa da 3 fiumi di lava vulcanica sottomarina che la stanno erodendo. Con spirito temerario si sente chiamato a fare il proprio dovere, fino in fondo.

Nessuna codardia perché, (e facciamo presto a capirlo) , Colapesce è più potente dei potenti e deve salvare la sua amata terra. Anzi proprio in questo consiste il “suo potere”. Sa che quella che sta per intraprendere è una missione impossibile, un punto di non ritorno in cui dovrà fare una scelta estrema. Colapesce va però incontro al suo destino di uomo. Porta con sé un pugno di lenticchie e un pezzo di legno e sparisce sott’acqua. Colapesce però non riemergerà più. A galla saliranno quelle lenticchie e quel pezzo di legno bruciato che lui aveva voluto per dimostrare l’esistenza del fuoco sotto il mare.

Colapesce si sacrifica, resta sott’acqua, diventa pilastro della nostra terra. E fa presto a diventare esso stesso Creatura del mare che lui tanto ama visceralmente. Leggenda vuole che Colapesce si innamorerà della Luna che riflette la sua luce d’argento sul mare. Oramai divenuto Tritone vive la sua storia d’amore con la Luna, una struggente storia d’amore vissuta sui cuscini di seta del mare. Colapesce ottiene la grazia di parlare con la Luna e con il Sole e ovviamente con i pesci di cui comprende il linguaggio.

In effetti si pensa persino che egli fosse figlio del Dio del mare Nettuno.

Il vero vincitore alla fine è lui, Colapesce. E’ lui l’uomo che al cospetto del proprio destino non arretra. E se qualche volta la Sicilia si muove è perché lui, Colapesce, cambia spalla per riposarsi un po. Sorreggere la Sicilia è faticoso. In effetti, la Storia siciliana è costellata di tanti eroi solitari, quasi semidei, i quali dopo aver visto la propria terra traballante, hanno deciso di salvarla di non lasciarla sprofondare. Vito Scarpitta, nelle belle strofe finali ha fatto un chiaro riferimento all’auspicio di una terra finalmente libera, purificata dagli elementi negativi affinchè il sacrificio dell’eroe solitario abbia un senso e non sia stato invano.

Bravi tutti, a cominciare da Vito Scarpitta che ha realizzato il testo e diretto lo spettacolo. Brava la direttrice artistica Enza Giacalone, anch’essa attrice nelle vesti della madre di Colapesce. Brava come sempre la direttrice musicale Eugenia Sciacca e poi gli attori della Compagnia teatrale Sipario, Diego Maggio, Paola Castelli, Davide Tumbarello, Erminia Licari, Enza Giacalone alla direzione artistica, Claudia Scirè, Francesco Di Bernardo, Maria Tresa Maggio il maestro Salvatore Lo Grasso e il maestro Natale Montalto.

A fine spettacolo, Scarpitta ha ricordato Renzo Ingrassia con cui ha condiviso le scene per 34 anni, scomparso appena qualche giorno fa. L’avventura del MAC continua. La terza edizione de “A Scurata”…Cunti e Canti al calar del Sole memorial Enrico Russo, non delude mai.

Tiziana Sferruggia

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