Ascesa e caduta di Fabio Damiani, la “grande sorella” della sanità siciliana

Ninny Bornice

Ascesa e caduta di Fabio Damiani, la “grande sorella” della sanità siciliana

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venerdì 22 Maggio 2020 - 10:44

Era il 18 dicembre del 2018, quando l’avvocato Fabio Damiani si insediò alla guida dell’Asp di Trapani, subentrando a Giovanni Bavetta, inizialmente in veste di commissario straordinario per poi diventare ufficialmente direttore generale il 16 aprile del 2019.

Presentatosi con un curriculum degno di nota, dopo la laurea Damiani aveva cominciato con l’attività forense e l’insegnamento presso gli istituti superiori. Ma le lezioni in cui parlava ai propri studenti di legalità e Costituzione costituiscono nella sua vita una lontana parentesi del passato, a fronte del salto di qualità professionale nel ricco settore della sanità pubblica, arrivato nel 2003, in pieno cuffarismo, con i primi incarichi all’Asp di Palermo nella veste di dirigente avvocato. Da allora, attraversando varie stagioni politiche, Damiani è stato insignito di incarichi via via più prestigiosi. Nel 2013, sotto il governo Crocetta, è diventato commissario liquidatore dell’ente di formazione Ciapi, l’anno dopo direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera Villa Sofia – Cervello di Palermo, ma – soprattutto – dal 2016 al 2018 è stato alla guida della Centrale Unica di Committenza in Sicilia, che si occupa dell’acquisto di beni e servizi. Un ruolo che consente di gestire denaro e potere, particolarmente ambito negli ambienti in cui si fraintende lo spirito con cui un pubblico funzionario dovrebbe esercitare il proprio ruolo.

Dopo di che, nell’infornata di nomine del novembre 2018 il governo Musumeci lo ha incaricato di gestire la sanità trapanese, fino all’arresto di ieri mattina, nell’ambito dell’operazione “Sorella Sanità”, in cui viene definito “figura centrale e perno di tutta l’indagine”, che però riguarda vicende che precedono il suo arrivo a Trapani. Tuttavia, “come dimostrato plasticamente dai dialoghi in atti, Damiani rappresentava, anche nella proiezione futura dell’ASP di Trapani […] il centro di potere che conosce, determina e gestisce i fabbisogni della P.A., gestisce altresì le dinamiche di acquisizione\controllo di spesa e ne orienta fraudolentemente i relativi flussi incidendo significativamente su importanti procedure di gara” mentre l’amico “faccendiere” Manganaro era il mediatore di cui si avvaleva per agganciare il soggetto economico di volta in volta interessato alla procedura di gara”.

Per gli inquirenti l’avvocato Fabio Damiani, attraverso un “patto di ferro” assolutamente stabile e duraturo nel tempo (tale da consentire la configurazione di una vera e propria associazione a delinquere) con Manganaro, – in forza della indiscussa esperienza e capacità professionale maturate sul campo, in molti anni in cui era stato prima Direttore UOC al Provveditorato dell’ASP 6 di Palermo e Direttore del Dipartimento Risorse Economiche, nonché Dirigente Responsabile della Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e Presidente di commissioni di gara – “pilotava, orientava e condizionava tutte le gare di appalto, del valore anche di centinaia di milioni di euro, alla sua attenzione, favorendo anche in gare con lotti dal valore eccessivo gli accordi sotto banco tra alcune imprese, che avevano così la strada spianata per ripartirsi le aggiudicazioni. Il tutto, con evidente sacrificio di efficienza, rispetto della concorrenza e del mercato e, soprattutto, della legalità e della lotta alla corruzione”. Una situazione di inquinamento degli appalti pubblici in Sicilia nella sanità che i magistrati non esitano a definire “diffusa e inquietante”.

Così come inquietante, agli occhi di chi frequenta con un minimo di dimestichezza le cronache giudiziarie di questa terra, appare la scelta di utilizzare l’appellativo di “sorella” per far riferimento al manager palermitano nelle interlocuzioni tra Manganaro e i rappresentanti delle ditte private interessate alla gare d’appalto e risultate disponibili a riconoscere laute ricompense economiche ai due sodali secondo una logica corruttiva che poco dovrebbe avere a che fare con l’erogazione di servizi pubblici utili e preziosi per i cittadini come quelli connessi alla sanità.

Dalle indagini è inoltre emerso come Damiani, fosse “alla spasmodica ricerca di appoggi politici per ottenere, alla scadenza del suo, un nuovo incarico” (arrivato a dicembre 2018 con la nomina all’ASP di Trapani) per cui – anche qui tramite Manganaro – si era rivolto all’imprenditore Turola (altro faccendiere), per trovare uno sponsor nel presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, tramite il fratello Guglielmo. Un’altra interlocuzione “eccellente” c’è stata con il deputato regionale del gruppo Popolari e Autonomisti Carmine Pullara, che, secondo gli inquirenti “a sua volta gli aveva chiesto un appoggio per l’impresa Manutencoop nella gara per i servizi di pulizia del valore di oltre euro 227 milioni di euro (gara alla quale aveva interesse lo stesso Turola tramite la FER.CO di cui era referente)”.

Di fatto, per Damiani – così come per Antonio Candela – il mercanteggiamento di importanti cariche pubbliche con la politica era un fatto naturale “nell’ottica precipua del “do ut des” che – sottolineano i magistrati – dovrebbe rimanere, invece, estranea all’esercizio di pubblici poteri”. Sebbene a un certo punto vengano fuori anche i nomi di Turano e Lumia, in realtà l’attività investigativa avvalora l’ipotesi che il vero sponsor politico della nomina di Damiani a Trapani sia stato proprio il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè, mentre da Carmine Pullara non arrivò alcun supporto (tanto che Damiani si irritò profondamente con il deputato del gruppo Popolari e Autonomisti). Va precisato, a riguardo, che il leader di Forza Italia in Sicilia, a differenza di Pullara, non risulta indagato nella vicenda.

Tuttavia, uno degli aspetti centrali nell’inchiesta è che Damiani riuscì a fare in modo che il governo regionale, nonostante la nomina di novembre alla guida dell’Asp di Trapani, gli consentisse di continuare a guidare la Cuc fino alla gara riguardante i servizi di pulizia e integrati in ambito sanitario, del valore di 227.686.423, 22 €, oggetto di numerose interlocuzioni telefoniche tra il manager e il faccendiere Manganaro. Definita dai due sodali “la gara delle gare”, era articolata in dieci lotti, con alcuni particolarmente appetibili da un punto di vista economico (Palermo, Catania e Caltanissetta): la procedura si concluse con esito positivo per le ditte che Damiani e Manganaro intendevano favorire per evidenti tornaconti personali (soprattutto PFE e Fer.Co, ma anche Europromos).

Il resto è storia di queste settimane, che hanno visto crescere la visibilità di Damiani nel trapanese alla luce dell’emergenza epidemiologica. A fronte di una gestione della pandemia che tutto sommato ha retto bene in provincia, Damiani si è distinto per alcune sortite decisamente anomale e poco istituzionali nei confronti delle legittime prese di posizione di alcuni sindaci del territorio (su tutti, Gaspare Giacalone e Alberto Di Girolamo) in merito alla decisione di scegliere il “Paolo Borsellino” come Covid Hospital per la provincia di Trapani o sulla somministrazione dei tamponi.
Comunque andrà la sua vicenda giudiziaria, il governo Musumeci è adesso chiamato a scelte rapide e trasparenti, che garantiscano in breve termine una nuova gestione all’Asp di Trapani, con un nuovo direttore generale (o un commissario) al di sopra di ogni sospetto in una fase che, peraltro, si annuncia particolarmente delicata in vista degli investimenti annunciati sul territorio, a partire dalla ristrutturazione del vecchio San Biagio di Marsala che, peraltro, dovrebbe avvenire secondo le procedure di Protezione Civile.

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