Cesare Battisti è arrivato in Italia. Sconterà la sua pena all’ergastolo, com’è giusto che sia. Dopo una latitanza lunga quasi 38 anni, concluderà i suoi giorni in carcere. L’arresto di Battisti è una piccola ma importante consolazione per i familiari delle vittime degli omicidi che gli sono stati attribuiti. Nessuno potrà riportare in vita i loro cari e la serenità perduta. Ma vedere l’uomo che ha rovinato le loro esistenze nelle mani dello Stato italiano era diventata, comprensibilmente, una ragione di vita.
Tuttavia, sarebbe miope non osservare come, quello riguardante Battisti, sia un capitolo che fa parte di una storia lunga e complessa, che mette assieme tanti aspetti. Su tutti due, riguardanti da un lato la stagione del terrorismo rosso e nero che insanguinò l’Italia negli anni ’70; dall’altro, la rete delle complicità internazionali che dall’Europa al Sud America ha spesso dato ospitalità a latitanti con condanne passate in giudicato. Sul primo dei due aspetti, si è scritto e dibattuto tanto. Pensare che quella stagione possa essere archiviata con l’arresto di Battisti è un’offesa all’intelligenza collettiva, prima ancora che alla memoria delle vittime delle stragi di quegli anni, da piazza Fontana a piazza della Loggia, dall’Italicus alla stazione di Bologna fino al DC-9 di Ustica. Non a caso, ci sono altri 40 latitanti (rossi e neri) in giro per il mondo che come Battisti da anni si sottraggono alla giustizia italiana. Sulla questione delle complicità internazionali ci sono livelli diversi di riflessione, difficilmente comprensibili se applichiamo la logica del presente. Mai come negli anni ’70 i servizi segreti giocarono un ruolo strategico nello scacchiere internazionale, utilizzando cinicamente le stragi per portare avanti disegni che al momento fanno ancora parte dell’indicibile della storia italiana ed europea. Ma nel nostro Paese, così importante nello scacchiere internazionale, questo ragionamento può essere esteso anche a periodi più recenti, come dimostra la sentenza del processo sulla Trattativa Stato – mafia.
Diciamocelo chiaramente: nessun latitante riuscirebbe a sfuggire alla caccia dello Stato senza l’aiuto di qualche pezzo delle istituzioni. Spesso si tratta di uomini da visi e dai nomi sconosciuti ai più, ma in grado di esercitare un ruolo decisivo su vicende ben precise. Se Francia o Brasile hanno coperto Battisti, qualcun altro ha consentito per 23 anni a Totò Riina di girare indisturbato per la Sicilia, seminando sangue, terrore e morte fino all’arresto, di cui proprio oggi ricorre il 26° anniversario. Tredici anni in più durò la latitanza di Bernardo Provenzano, mentre quella di Matteo Messina Denaro è già arrivata a 27 anni: l’auspicio è che non finiremo per dire che è stato più semplice arrestare Battisti in Sud America che il boss castelvetranese in Italia…