“Marikayde di Mothia”, un epos fenicio messo in scena al Comunale di Marsala

redazione

“Marikayde di Mothia”, un epos fenicio messo in scena al Comunale di Marsala

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lunedì 29 Ottobre 2018 - 09:43

Bravissima Luisa Caldarella, capace di travolgere gli spettatori con lo strazio della madre avviluppata nel lutto

Epico eppure demistificatore, aulico e al tempo stesso non cattedratico, a tratti storico eppure romanzato. Questo è stato “Marikayde di Mothia” – spettacolo della compagnia teatrale D’Altra P’arte scritto e diretto da Alfredo Anania con la regia di Andrea Scaturro, coreografie e danze di Elisa Ilari e musiche di Gino De Vita, che è stato portato in scena sabato scorso nel teatro comunale “E. Sollima” di Marsala. L’evento si inscrive all’interno degli appuntamenti (ormai attesi ogni anno) dell’Immaginario Simbolico, che vedono il suo fondatore in Alfredo Anania. Tematica da sempre centrata sul femminino sacro, stavolta due trovadores dei nostri tempi (ma sacrali come i cantori greci) – Andrea Scaturro e Gianfranco Manzo (sempre pregevoli) – hanno impersonato la vox narrandi, ma anche la vox populi per narrare le alterne vicende di una donna bellissima e maliarda, Marikayde – Luisa Caldarella – le cui vicende quasi mitologiche, ma senz’altro mitiche, segnano la fine del popolo dei moziesi. Con una solennità degna di un epos greco, la donna racconta di come sfugge alla morte dopo il naufragio della “nave punica” e scorge le “tre rocche di Lilybeo”, dove trovare salvezza.

Testo denso e a tratti prosaico, viene scandito dalle note intense di Gino De Vita, musico discreto ed appropriato, e dalle elegantissime movenze delle danzatrici di Elisa Ilari. Emerge un popolo condizionato da “dei falsi e bugiardi”: sarà la stessa Tanit, parlando (con una voce fuoricampo) a Marikayde a rivelarle che Molok – dio terribile ed esigente al quale è stata costretta a sacrificare il suo unico figlio maschio, in quanto decretato “eletto” per il sacrificio del Tophet – non esiste. In un mondo affascinante, lontano lungo la linea temporale, ma vicinissimo per prossimità territoriale, Marikayde si erge come un’anti-Medea, che come la sacerdotessa della Colchide tradisce il suo popolo accecata dall’amore per il greco Teseo, ma poi, tradita, non perdona e lo uccide con il veleno intriso “nelle sue vecchie spoglie, quelle dell’inganno”. Spesso lasciva e priva di scrupoli, Marikayde diviene però “troppo umana” nel momento del sacrificio del figlio, che la dilania. Bravissima Luisa Caldarella, capace di travolgere i sensi degli spettatori, col lo strazio della madre avviluppata in un lutto che lava i “peccati di lussuria”. Ne scaturisce un anelito ad una società matriarcale, com’era un tempo, prima che gli uomini prendessero il sopravvento. E, in un tempo, l’attuale, scandito da terribili femminicidi, la “tragedia fenicia” si conclude con un omi-maschi-cidio. Lasciando allo spettatore la possibilità di scegliere da che parte stare, o forse, da che parte non stare.

Chiara Putaggio

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