I ragazzi del ‘92

Vincenzo Figlioli

Marsala

I ragazzi del ‘92

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giovedì 19 Luglio 2018 - 06:14

Stanno invecchiando senza verità, i ragazzi del ’92. L’hanno invocata, attesa e urlata in pubblico e in privato. Lo fanno da 26 anni. Erano poco più che ragazzi quando hanno cominciato a marciare per le strade della Sicilia con i loro striscioni e le loro bandiere. Hanno imparato a memoria alcune tra le frasi più significative che Paolo Borsellino aveva pronunciato durante la sua vita. Hanno imparato a memoria i nomi e gli aneddoti delle vite degli agenti di scorta saltati in aria assieme al giudice in quella calda domenica di luglio: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. Hanno divorato libri e biografie, film e serie tv, hanno preso coscienza di cosa fosse una trattativa tra Stato e mafia e di cosa fosse un depistaggio. Si sono armati delle agende rosse d’ordinanza per accompagnare Salvatore Borsellino in un emozionante corteo da via D’Amelio al Castello Utveggio, hanno sognato una Sicilia in cui il volto pulito di Rita Borsellino potesse prevalere su quello compromesso di Totò Cuffaro, hanno sofferto come davanti a un familiare ferito di fronte alla vicenda che tre anni fa costrinse Lucia Borsellino alle dimissioni da assessore regionale alla sanità.

Nel frattempo, com’era giusto che fosse, questi ragazzi del ’92, sono anche diventati adulti. Alcuni di loro si sono affermati professionalmente in Sicilia, altri si sono trasferiti al Nord o all’estero, altri sono ancora alla ricerca della propria strada. C’è chi ha perso i capelli e chi fa la conta di quelli bianchi, chi è dimagrito e chi ingrassato, chi si è sposato, chi ha avuto figli e chi ha fatto altre scelte. Ognuno di loro, però, si sente in qualche modo vicino all’altro perché chi è stato adolescente nel ’92 ha sviluppato una coscienza civile che non gli fa mai dimenticare la tensione morale, la rabbia, la voglia di verità che ha cominciato a provare quell’estate. Perché la strage di Capaci fu una scossa violenta, ma quella di via D’Amelio fu qualcosa in più. Come se la puzza di bruciato causata dall’esplosione li avesse raggiunti fino alle loro case, come se le sirene della polizia, dei vigili del fuoco o degli antifurti fossero un rumore di fondo costante, capace di tormentare veglie e sonni, da Lampedusa in su.

Tra i ragazzi del ’92, però, ce ne sono tre a cui quel 19 luglio cambiò irrimediabilmente la vita: Lucia, Manfredi e Fiammetta. Avevano 23, 20 e 19 anni. Non è mai facile immaginare di separarsi da un genitore. Li si immagina dispensare conforto e tenerezza come se fossero eterni e la semplice idea di un inevitabile distacco resta nell’ambito di quelle cose di cui non si vorrebbe mai essere davvero consapevoli.  Immaginiamo quindi di ritrovarci di fronte alla morte di un nostro congiunto su cui, giorno dopo giorno, vediamo accumularsi misteri e menzogne. Un calvario senza fine, che da ventisei anni porta i figli di Paolo Borsellino a continuare a chiedere giustizia e verità. Fino a ieri, Fiammetta ha depositato alla Commissione Regionale Antimafia 13 domande, nella speranza che le istituzioni sappiano darle le risposte che cerca. La sensazione è che lo faccia per se stessa e la sua famiglia, ma anche per tutti quei ragazzi del ’92 che in qualche modo si sentono parte di un’unica comunità e che, oggi più che mai, sentono la responsabilità morale di non arretrare nel sostenere questa difficile ricerca.

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