Il vicequestore Rocco Schiavone è uno dei personaggi più singolari e interessanti del panorama letterario italiano, non è un caso infatti che a pubblicare la serie dei romanzi polizieschi, ambientati nella città di Aosta sia proprio la casa editrice Sellerio che di queste serialità ha fatto il suo successo editoriale. L’ultima fatica letteraria di Antonio Manzini “Pulvis et umbra” che ha scalato le classifiche dei libri più venduti di quest’estate presenta però tutti i suoi limiti. Ripeto il vicequestore Rocco Schiavone rimane un personaggio che difficilmente il pubblico dei lettori fedeli abbandonerà, anche perché l’omonima serie televisiva di Rai Due ha dato un volto allo sbirro antidivo , fumatore di canne che se ne strafotte dei superiori e a volte si abitua alle sconfitte.
Ho letto il libro velocemente, non perché fosse avvincente, anzi in certi passi noioso, ma per vedere Rocco nelle parti più interessanti, quando si ritrova da solo con se stesso. L’intreccio risulta appesantito da vicende iniziate in altri capitoli della saga di Rocco Schiavone, ormai francamente datate. Bisognerebbe che il bravo Antonio Manzini desse una svolta al contorno delle indagini in cui Rocco suo malgrado è coinvolto. Qualcosina si è mossa in questo ultimo capitolo nelle parti in cui il vicequestore romano stabilisce un rapporto singolare con il giovane vicino di casa ed esercita un surrogato di paternità. È vero, si potrebbe obiettare che questa è la via italiana al giallo e al poliziesco, tuttavia l’indolenza di Rocco pur non essendo immune dai rischi dell’italiano all’Alberto Sordi, ha il fascino del trasandato, il retrogusto dell’intellettuale.
Il vicequestore Schiavone in più occasioni, rude, volgare nel linguaggio che usa per svolgere il suo sporco lavoro di sbirro, ha fatto il liceo classico e ancora che Il titolo stesso del romanzo è in latino e almeno un paio di volte Rocco nel romanzo mostra di conoscerlo bene. Soffermarsi su questo particolare a margine della storia significa innanzitutto che lo scrittore ha volutamente inserito questi elementi, non per fare sfoggio di erudizione, ma per indicare ai lettori giovani e meno giovani una verità lapalissiana che solo una teoria sconclusionata di ministri della pubblica istruzione non ha mai capito, l’importanza cruciale dello studio e della conoscenza della lingua e della cultura latina nella formazione dei nostri giovani. Per questo vorrei concludere questa recensione, innanzitutto invitandovi a leggere il libro anche solo per capire il senso del titolo Pulvis et umbra, poi a risolvere il rebus della frase latina che Rocco traduce per il giovane amico,
“Ibis redibis non morieris in bello».”