Da Castelvetrano al Biondo: “Come fratelli” torna in scena il 20 aprile a Palermo

redazione

Da Castelvetrano al Biondo: “Come fratelli” torna in scena il 20 aprile a Palermo

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mercoledì 12 Aprile 2017 - 19:52

Approda al Teatro Biondo di Palermo lo spettacolo “Come fratelli”, prodotto dal Teatro Libero AC di Castelvetrano. Dopo il successo ottenuto in diverse rappresentazioni, tocca dunque a uno dei templi del teatro siciliano accogliere la storia di Andrea e Salvo, due giovani provenienti da famiglie molto diverse, ma legati da un’amicizia fraterna. Il primo è figlio di un boss, l’altro è un ragazzo semplice, proveniente da un ambiente modesto. Mentre la famiglia di Andrea è immersa nella malavita – il padre è un pezzo grosso, anche se di un piccolo paese – quella di Salvo vive onestamente. Ma proprio Salvo prova un’attrazione fortissima per i “modi” della mafiosità, per quel padre di Andrea, Don Carlo, che “non si poteva neanche pagare il caffè in paese”… un’attrazione destinata a trasformarsi in una concreta presa di posizione all’interno della cosca locale. Così, ribaltando il ruolo dei padri, Salvo ed Andre si ritrovano a fronteggiarsi, ed alla fine, ad affrontarsi. A interpretare i due protagonisti gli attori Gaspare Di Stefano e Giovanni Libeccio (quest’ultimo, peraltro, autore del testo). Lo spettacolo, che si avvale della partecipazione di Debora Messina e Gregorio Caimi, sarà diretto da Giacomo Bonagiuso.

In scena i ritmi interpretativi di Di Stefano e Libeccio sono costruiti da Bonagiuso in modo spesso forsennato, ritmico, tramite una giravolta di azioni, finzioni, suoni, farse. Il corpo dell’attore è l’ultimo strumento di rappresentazione, al pari e forse al di là della parola stessa. Perché l’esperienza della mafia, e della Sicilia, entrambe vissute sulla pelle dei protagonisti, emerge in tutta la sua dicotomica tragicità, proprio a partire dalle movenze e dai suoni.

“Non amo particolarmente la letteratura “antimafia” – scrive il regista Giacomo Bonagiuso – ma ritengo invece utile reagire, laddove possibile, tramite quell’esercito di maestri di scuola di cui parlava Gesualdo Bufalino. Maestri in grado di trasmettere la bellezza di Peppino Impastato ai ragazzi, ai giovani di cui sempre si parla tanto. Questo testo parlava di loro: dei ragazzini che si “annacano”, quelli del “paese”. I ragazzini che adorano i modelli del mafioso di provincia. Ed io – continua Bonagiuso – grazie al mio posto “di provincia”, a cui mai ho rinunciato quale osservatorio privilegiato, e a questo testo di Libeccio che legge la mafia a partire da due ragazzotti di paese, potevo costruire una messinscena della memoria, nella giostra di molteplici maschere e personaggi, incuneando anche il Leitmotiv musicale “rubato a Modugno” e nel frattempo descrivere un modo che, nei paesi della Sicilia, c’è tutto”.

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