E’ arrivato il grande giorno per Gibellina e per una delle opere più note dell’artista Alberto Burri. Verrà infatti inaugurato oggi, a trent’anni dall’inizio dei lavori, il “Grande Cretto”. Un’opera che inevitabilmente si lega alla seconda vita del Comune belicino, successiva al terremoto del 1968 che distrusse la città vecchia, prima che l’appello del sindaco Ludovico Corrao portasse alla fondazione di una nuova Gibellina, grazie al supporto di numerosi artisti del panorama nazionale. Tra essi, anche Alberto Burri, che dopo un primo sopralluogo nel 1981 decise di intervenire, scegliendo però di operare sui ruderi generati dal sisma. I resti della città vennero inglobati nel cemento riprendendo il vecchio assetto urbanistico. Il labirinto bianco coprì come un sudario le rovine del terremoto, ricordando con le fenditure del Cretto l’evento distruttivo e offrendo alla comunità la dimensione simbolica di un nuovo inizio. I lavori, avviati nel 1985 e interrotti nel 1989, coprirono circa 66.000 metri quadrati a fronte degli 86.000 previsti previsti. In occasione del Centenario della nascita di Burri, la Regione Sicilia, il Comune di Gibellina, la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri hanno deciso di completare questa grande opera, senza eguali nel panorama artistico internazionale.
La seconda fase dei lavori prevede l’opera di restauro completo del Cretto, già finanziata e in attesa di imminente avvio. E’ intenzione delle istituzioni preposte procedere anche alla realizzazione di una sede-presidio dell’importante opera-monumento, in cui sarà possibile sostare, acquisire informazioni e fruire di pubblicazioni, immagini e documenti sull’opera e la sua storia.
Un’adeguata segnaletica e altri servizi di comunicazione sono stati previsti nel progetto di qualificazione territoriale regionale strettamente inerente il “Grande Cretto”.
“… Diversamente da un paesaggio naturale, nel Cretto la frattura regolata, accompagnata, composta non parla più degli elementi scatenanti forze ignote o catastrofi incipienti, ma diviene specchio del pensiero, della sua domanda insistente, assetata, inappagabile. Se è vero che l’opera d’arte non può dare risposte, essa consente di scatenare interrogazioni inarrestabili.
Lo spazio del Cretto obbliga lo sguardo a percorrere le sue fratture come il viandante dentro le vie di una città abbandonata; la massa piena di incidenti di un acrovinilico di Burri ha la labirintica struttura della cerebralità e del pensiero che non può approdare.
Il Grande Cretto di Gibellina ha un corpo percorribile, esso contiene tutto l’antico abitato di quel povero paese della Valle del Belice estintosi in una notte invernale del 1968. Scendendo nelle sue fessure, perdendosi nei suoi dedali che un tempo furono le strade stesse del paese, si alimenta ogni volta il pensiero sulla condizione di quanti abitavano in quella terra. Il Grande Cretto evoca tanto la catastrofe avvenuta quanto l’inestinguibilità della memoria che, pur velando ogni cosa, la evidenzia. Davanti al Grande Cretto di Gibellina si comprende che la forma è una cosa vera, che lo spazio è un pensiero diversamente replicabile e aperto e che l’arte ha il potere di dare senso alle cose, con il più eloquente dei silenzi.”
E’ quanto scrive Bruno Corà nel recente catalogo della mostra “Burri I Cretti” allestita al Museo Riso. Nella giornata di ieri è stato ufficialmente presentato a Palermo il catalogo della mostra “Burri I Cretti”. L’esposizione è stata voluta come occasione di approfondimento su quello che è stato uno dei momenti creativi di maggior interesse nel percorso artistico del maestro umbro.
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