Somiglia per certi versi alla storia di Giulio Andreotti quella del senatore trapanese Antonio D’Alì. Nelle motivazioni della sentenza che ha posto fino lo scorso 30 settembre al processo in cui il parlamentare era imputato per concorso esterno in associazione mafiosa emerge infatti che “vi è la prova che Antonio D’Alì ha intrattenuto relazioni con l’associazione mafiosa fino agli anni ’90, e che ne abbia con certezza ricevuto l’appoggio elettorale in occasione delle prime consultazioni alle quali si è candidato, ossia quelle dell’anno 1994”. In quell’occasione, comunque, il gup dichiarò prescritte le accuse nei confronti dell’ex sottosegretario agli Interni di Forza Italia (ora transitato nel Nuovo Centro Destra), assolvendo D’Alì con formula piena per le accuse che riguardavano invece per le sue condotte successive. I pubblici ministeri Paolo Guido e Andrea Tarondo avevano invece chiesto una condanna a 7 anni e 4 mesi per il senatore trapanese.
All’interno delle motivazioni (circa 700 pagine) il gup Gianluca Francolini fa riferimento al collaboratore di giustizia Tullio Cannella che “ha espressamente affermato che Vincenzo Virga aveva dapprima indicato Antonio D’Alì tra le persone da coinvolgere nella nascita di Sicilia Libera, ossia del partito mediante il quale Cosa Nostra avrebbe inteso ottenere diretta rappresentanza politica, per la tutela dei propri interessi senza mediazione con i partiti tradizionali, e che avrebbe dovuto operare per il tramite di personaggi puliti (come sarebbe apparso l’imputato, mai entrato in politica e portatore agli occhi esterni della propria esperienza imprenditoriale di banchiere), di fiducia, ossia che si prestassero ad agire nell’interesse dell’organizzazione”. “Nonostante Cannella abbia riferito di non aver incontrato D’Alì – prosegue la sentenza – quest’ultimo ricevette l’investitura da Vincenzo Virga nel corso di una riunione indetta ad hoc, cui partecipò pure Giuseppa Marceca (altro uomo d’onore ndr), che in effetti si occupò del progetto fintantoché il sodalizio non decise di convogliare i propri voti verso Forza Italia”.
“La verità è che il senatore Antonio D’Alì è stato assolto. Non ha commesso ciò che gli veniva contestato ed è quindi stato giustamente assolto perché il fatto non sussiste, ogni altra considerazione è gossip”, hanno dichiarato con una nota congiunta i legali del senatore trapanese Stefano Pellegrino e Gino Bosco.
Il parallelismo con il processo Andreotti, naturalmente, si riferisce alla sentenza d’appello del 2 maggio 2003, confermata in Cassazione, con cui si stabilì che il senatore a vita aveva «commesso» il «reato di partecipazione all’associazione per delinquere» «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione». Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti è stato invece assolto.