Un fascicolo imponente, oltre 2.600 pagine, è oggi al centro dell’attenzione giudiziaria siciliana. È quello prodotto dalla Guardia di Finanza, sotto il coordinamento della Procura di Trapani, che ha portato al sequestro preventivo della compagnia Liberty Lines, colosso trapanese dei collegamenti veloci con le isole minori. Quante volte abbiamo preso un aliscafo per approdare nelle Isole Egadi? Ecco. Si marciava sulla pelle delle persone. Secondo gli inquirenti, tra il 2021 e il 2022 la società avrebbe occultato decine di avarie, manipolato documenti e mantenuto comunque le tratte operative per non perdere i milioni derivanti dalla convenzione con la Regione Siciliana. La compagnia — che ha già annunciato ricorso tramite i propri legali — è al centro di un’indagine che ricorda da vicino la storica inchiesta Mare Monstrum del 2017. Oggi, però, la dimensione è ancora più vasta: 48 indagati, tra dirigenti, tecnici, comandanti e le stesse società Liberty Lines Spa e Sns. Nel decreto di sequestro si parla di una realtà da oltre 90 milioni di fatturato, 150 milioni di attivo e 750 dipendenti. L’indagine è appena all’inizio e per tutti gli indagati vale il principio di presunzione d’innocenza. Saranno le prossime fasi giudiziarie a stabilire responsabilità e reale portata delle accuse. Quel che emerge dalle carte, però, è un racconto duro: la sicurezza di migliaia di passeggeri — siciliani, pendolari, turisti — sarebbe stata affidata a mezzi logori, occultando problemi sistematici pur di non rinunciare ai finanziamenti pubblici.
Le accuse: frode, truffa, falsità e rischio per la sicurezza dei passeggeri
I reati ipotizzati includono frode nella pubblica fornitura, truffa, falsità ideologica, attentato alla sicurezza dei trasporti e numerose violazioni del codice della navigazione. Il punto centrale dell’accusa: circa settanta avarie non comunicate, impedendo così i controlli necessari su mezzi che avrebbero dovuto garantire sicurezza e continuità di servizio. Proprio per assicurare la gestione ordinaria della compagnia, il Tribunale ha nominato tre amministratori giudiziari.
Intercettazioni choc
Dalle intercettazioni emergono descrizioni spietate delle condizioni della flotta. I tecnici parlano di mezzi “vecchi, storti, pieni di lesioni”, tenuti “una chiavica”. Riparazioni eseguite “sul marcio”, aliscafi definiti “da tagliare, che navigano nell’emergenza”. Ancora più pesante la testimonianza di un comandante:
“Io cristiani a morire non ne porto… appena ci sono 15 nodi di vento il Federica M. non sta in piedi“. Il presidente del CdA, Alessandro Forino, intercettato, commenta: “Povera gente che cammina su ‘sti aliscafi, non sanno a cosa vanno incontro“. Non solo mezzi inadeguati: secondo gli inquirenti ci sarebbe stata una vera e propria direttiva interna che avrebbe imposto di non segnalare le avarie, per evitare fermi forzati e la mancata erogazione dei fondi pubblici. Un ordine contestato dagli stessi comandanti: “Questa è una porcheria gravissima… poi in galera ci andiamo noi“.
Avarie ignorate, fiamme a bordo, infiltrazioni d’acqua
Il presunto sistema avrebbe prodotto decine di avarie non dichiarate e una truffa stimata in circa 100 milioni di euro di fondi pubblici. Le imbarcazioni avrebbero operato con problemi strutturali: incendi, infiltrazioni d’acqua, timoni bloccati, motori al limite, stabilizzazioni mancanti. In alcuni casi si sarebbe suggerito ai comandanti di “non mettere in avaria”, o di registrare problemi come “guasti elettrici” per non fermare le unità.