In questi giorni si agita il dibattito intorno alla serie Netflix Ancient Apocalypse: sorta di pseudo docu-fiction decisamente stuzzicante sulla improbabile esistenza di Atlantide e/o similari civiltà perdute.
A dare la stura è stata la roboante stroncatura del Guardian, che si è lestamente occupato di marchiare il giornalista e autore scozzese Graham Hancock – diverse volte, si noti, titolare di best sellers – con la lettera scarlatta dell’età contemporanea: complottista e pseudoscienziato.
Di qui, come è giusto, staffilate a ripetizione contro la demagogia, l’affabulazione, la semplificazione e la mistificazione.
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L’episodio, di per sé insulso, diventa però interessante se osservato come ulteriore tappa del conflitto mediatico più importante di questi ultimi anni: quello che vuole opposti i “dotti e rigorosi”, fieri di sostenere il vessillo della Scienza e della Consapevolezza, ai “liberi e asistematici”, decisi a far valere il principio di autodeterminazione fino alla radicalità. I primi chiamano i secondi “Complottisti”, ricevendo in cambio l’accusa di subordinazione al “Pensiero unico”.
In gergo politico, a Sinistra stanno i lucidi e responsabili, a Destra i populisti.
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Al di là dei giochi con le etichette, è chiaro come per molti di noi sia decisamente difficile aderire alla fronda “Complottista” o pseudoscientifica. Le ragioni della causalità riescono quasi sempre con facilità a debellare le Narrazioni.
Eppure la politica della Narrazione vince le elezioni e Ancient Apocalypse attrae un fenomenale numero di spettatori.
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Ci sono dei motivi contingenti alla nostra situazione esistenziale, certo. Ho più volte scritto e formulato ipotesi a proposito.
In un mondo global/digitalizzato – questo è ciò che sostengo – il soggetto si trova alla convergenza di moti contraddittori: uno che ultra-espande il sistema delle relazioni e uno che lo ultra-comprime “addosso” all’individuo, pervadendone l’intimità.
In un mondo “troppo lontano” e insieme “troppo vicino”, le Narrazioni rappresentano delle oasi psichiche: hanno un inizio e una fine, un buono e un cattivo…poco importa che siano inaggirabilmente fiction: se non sono in grado di trovare me stesso in questa complessità, il “racconto” mi semplifica il lavoro.
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Si tratta quindi, soprattutto, di “strumenti”, “saperi” “competenze”? Chi più ne ha, più si può salvare?
Con calma. Non è certo pensabile di ricondurre l’intero esclusivamente ad una questione di Istruzione, di “consapevolezza scientifica”.
Se fosse così, che dovremmo fare? Proibire il voto a chi è sprovvisto del titolo di studio? Impedire l’accesso ai Social ai bocciati e ai disoccupati?
Una strada per tentare delle risposte forse si trova proprio nei meandri di quello strano “Pensiero unico” continuamente evocato.
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Innanzitutto, nella vulgata, latore del Pensiero unico è all’incirca chi ben si omologa alla Tecnocrazia dell’Unione europea, ai dettami dei “poteri forti” che abitano le Accademie, gli Istituti di Ricerca, le Istituzioni transnazionali e i grandi Partiti.
Per converso, quindi, chi se ne dissocia si autodefinisce “disallineato”, estraneo alla meta-narrazione che vive con fiducia idealizzante le grandi istituzioni di cui sopra.
La de-idealizzazione di Ue, Onu, Nato, Oms et alii è un punto forte per gli accusatori del Pensiero unico: tutti noi sappiamo perfettamente che ogni istituzione democratica ha in sé il rischio di subire i “gruppi di potere”; lo scoperchiare però i grandi guadagni delle case farmaceutiche – di cui tutti, insisto, abbiamo sempre saputo – a seguito dei vaccini obbligatori ha l’effetto di una freccia indiana in salotto: infiamma la rabbia sociale.
Cercare di spiegare ad una massa di arrabbiati che il mondo è molto complesso e che l’unica buona strada è raffinare i propri strumenti per accoglierne la complessità inesauribile, lo abbiamo visto, non funziona.
Ecco allora, dietro l’angolo, l’errore del “pensierounicista”: l’arroccamento.
In risposta al “disallineamento irrazionale”, la Scienza perde ogni “gaiezza” di niciana memoria, diviene bastione e torre d’avorio.
Nasce e si diffonde il “Complesso del Secchione”.
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Il “Complesso del Secchione” concede al sedicente Competente di aderire a più o meno tutte le teorie progressiste, di fare propri tutti i crismi delle scienze sociali e delle scienze dure, di conquistare una fortificatissima posizione morale.
La forma deteriore più diffusa è quella riconoscibile da una evidente capacità di diffusione sui Social Network, dalle puntualizzazioni su dettagli, date o errori di ortografia, dalla sostituzione dei maschili e dei femminili con l’asterisco – oppure con lo schwa, preso a prestito dall’alfabeto fonetico; sempre in barba, certo, a Dumézil e Lévi-Strauss – .
Il “Complessato” ancora acerbo, ancora rude, si getta su tutte le discussioni e snocciola pareri, sottolineature, riflessioni, anche sentenze. Non sbaglia, ma se fa cilecca, se svirgola, “si stava solo stiracchiando” oppure “l’ha fatto apposta”.
Il più navigato ha invece acquisito sobrietà. Studia o ha studiato; non sopravvaluta l’esteriorità; è consapevole del valore sociale di ogni gesto e ogni parola, è tollerante e inclusivo; apprezza l’arte e riconosce il talento, non tralasciando di seguire il dibattito critico; legge e/o scrive su pagine digitali a carattere culturale; suona i Beatles, oppure Simon e Garfunkel, ma con l’aplomb di chi ha una certa formazione da violoncellista; critica il chitarrista che non va a tempo; sa dire qualcosa di costruttivo sui Maneskin; segue la politica da vicino e, all’occorrenza, si espone; segue la cronaca e non fa mistero di avere opinioni e di volerle condividere; compra e consuma responsabilmente; sa andare fuori dagli schemi e rientrarvi.
In questa forma matura, il “Secchione” sbaglia raramente; quando accade, ammette i propri errori. Ammissione che gli riesce relativamente “facile” – parola che il suddetto non ammetterebbe – grazie allo strutturato senso morale: nessuno è perfetto, la sappiamo, l’importante è imparare dai propri errori. E generalmente impara.
In sintesi, questo “luminoso” uomo-a-tutto-tondo si dà come somma di tutto “il buono” che è in una comunità culturale. Sta fra di noi come riflesso convergente di un intero Pantheon.
In tale “totalità”, riesce sempre a identificare “il male” e a segnalarlo, magari con note a piè di pagina.
Forse per questo risulta terribilmente irritante al “disallineato”?
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Sono pronto a scommettere che saranno decisamente i “Secchioni”, in queste vacanze di Natale, a guardare tutte le puntate di Ancient Apocalypse.
Sebastiano Bertini
Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.
Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340