Essere Russia o essere Stati Uniti, anche se sembra banale sottolinearlo, significa essere enormemente diversi. Pensarsi cassa di risonanza dell’anima espansa dell’Asia, non è pensarsi testa – avamposto e insieme caput, capitale – della grande cavalcata dell’Occidente. È chiaro: l’épos dell’ “antica madre” è tutt’altro rispetto a quello del “giovane campione”.
La linea di faglia è stata, ed è ancora, quella che taglia i Dardanelli. Dagli spintoni fra Elleni e Lidi per la Ionia, ai conflitti fra le polis e la Persia, in questo luogo-cerniera si sono consumati i gesti escissori che hanno spartito i noi dai loro. Si è generato qui, cioè, quel limen che, da una parte e dall’altra, è ostensione dell’espulso e auto-definizione per levare. La storia si è poi occupata di ricamare questa linea, allungandola e stringendola, modificandone il serpeggiante cammino, fino a consegnarcela, in questi giorni, intatta nella sua natura profonda, in forma di fascia, di mobile moto ondoso che si espande verso Est, che si infrange sull’Ucraina. Con buona pace di chi ama le visioni escatologiche, il divenire umano a volte sembra semplicemente la lunghissima eco di pochi eventi traumatici.
A Oriente della faglia si estende l’oceano di terra asiatico. La Russia si pensa pelago: troppo grande per essere assediato, inespugnabile poiché impenetrabile, fluido per accogliere le ambiguità interne. Mare, certo, mosso; basti pensare alla recente storia federale per ritrovare il carattere mobile e composito di una Nazione che si racconta mondo: fatta di entità diverse, repubbliche, territori, oblast’, circondari autonomi, città federali, ha confini piuttosto movimentati. Cerca il contatto – violento – con l’Europa, mentre accoglie al suo opposto geografico una vastissima migrazione cinese. Il suo demone è, in effetti, questa propensione alla confusione dei registri, in primis riguardo l’Occidente. Qualche volta dimentichiamo che essa si è rigenerata sul pensiero più occidentale della modernità, quello di Marx. Dovremmo ricordarlo quando osserviamo Putin reagire come un’amante ripudiata: “L’Occidente troverà una scusa per imporci sanzioni”, 17 febbraio 2022.
In America, negli Stati Uniti, le ambiguità diventano piuttosto contrasti. La nazione “nuova” è una città sulla collina, puro distillato di modernità, crasi di illuminismo e teologia della predestinazione. In questo, gli Stati Uniti sono il compimento del Destino manifesto della faglia: hanno lasciato i vecchi padri e l’antica Asia nella fascia tellurica e si sono installati su un belvedere di libertà e ferocia. La Nazione di Dio è quella che Jefferson immaginava fatta di cittadini-agricoltori autonomi e svincolati da ogni politica, liberi anche di prendere le armi per far nascere la Repubblica, garanti della Repubblica perché armati. Anche per questo il vocabolario dei Presidenti americani è fitto di react, decisively, impose.
L’unica apparente sovrapposizione fra questi pensieri-mondo, è che sono entrambi pensieri-mondo. Sono imperi e, come tali, si pensano oltre loro stessi. Eppure la loro universalità si misura davvero, oramai da quasi un secolo, solo in un punto del globo terracqueo: sempre sulla linea di faglia che ha opposto Serse a Temistocle. Qui avviene la – reale – sovrapposizione dei mondi. Strane coincidenze della storia: su di una linea psichica e territoriale tracciata migliaia di anni fa, si continua a riassumere l’universo degli uomini.
Il blog Lo Scavalco è curato da Sebastiano Bertini
Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021.