“Storia di chi fugge e di chi resta”, citando il famoso romanzo di Elena Ferrante è possibile sintetizzare i titoli delle testate giornalistiche italiane di qualche settimana fa. Migliaia, (gli ultimi dati dicono 30.000) di giovani e non solo, sono fuggiti dal Nord Italia, dalle città in cui studiano e lavorano, per tornare a casa dalla famiglia. L’opinione pubblica ha arduamente criticato la scelta di quest’ultimi, accusandoli di essere potenziali vettori del Covid-19 e di mettere a rischio la vita dei propri concittadini nonché della propria famiglia.
In quanto studentessa fuori sede anche io, non mi sento affatto nella posizione di giudicare la scelta di coloro che hanno deciso di acquistare un biglietto del treno o dell’aereo e di lasciare Milano, Torino o Padova. Comprendo davvero il panico provato nel momento in cui è stata pubblicata la bozza del decreto ministeriale in cui si comunicavano le nuove cosiddette ‘zone rosse’. C’è chi ha agito d’istinto ed è partito, chi invece ha preferito riflettere prima di prendere incaute decisioni.
Questa però è una storia di chi è rimasto.
Ammetto che anche io, nei giorni precedenti alla dichiarazione da parte del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che rendeva tutta l’Italia ‘zona rossa’, sono stata titubante sul da farsi. Due miei amici ed io decidiamo di vederci per prendere una decisione comune. Mille però sono le domande che frullano nella mente: se non torniamo a casa adesso, rischiamo di poter rivedere i nostri familiari direttamente d’estate? E se scendiamo giù e poi abbiamo necessità di tornare al Nord, come facciamo? Scendiamo giù e facciamo la quarantena tutti insieme presso la seconda casa di qualcuno, ma comunque in aeroporto e nei vari spostamenti entriamo in contatto con gente che rischiamo di contagiare (qualora fossimo positivi e asintomatici) o di essere contagiati. Qual è, quindi, la scelta migliore?
Valutiamo pro e contro tra chiamate con i familiari che preoccupati, ci chiedono di tornare e chi invece ci consiglia di rimanere. Non nego che siamo stati almeno parzialmente influenzati dagli insulti che l’opinione pubblica ha dedicato a coloro che, nella notte del 7 marzo, hanno deciso di scappare nei modi più improbabili pur di evitare una quarantena in solitudine al Nord Italia. Sicuramente una scelta avventata, in parte influenzata dalle pressioni dei genitori lontani ed in tensione; ma in un momento surreale come questo la paura oscura spesso la ragione.
A prevalere comunque, per noi, è stato il senso di responsabilità nonché il timore di poter cagionare dei danni alla nostra famiglia una volta tornati in Sicilia. Ci definiscono ‘coraggiosi’, ma di eroico non abbiamo proprio nulla.
Inizia così il nostro periodo di isolamento a Bologna. Cerchiamo di riprodurre un ambiente casalingo per sentirci un po’ più vicini a casa, per soffrire meno la distanza dai nostri cari. La compagnia in un momento del genere è fondamentale.
La mattina a colazione leggiamo gli aggiornamenti della notte, le notizie dal mondo e l’incessante diffusione del virus negli Stati in cui è giunto da poco. Poi la giornata continua normalmente: c’è chi segue lezioni online, chi scrive la tesi e fa i conti con la reale possibilità di doverla discutere per via telematica, chi prova a tenersi in forma. I primi giorni alle 18 avevamo l’appuntamento canoro giornaliero dal balcone, adesso andiamo sempre in balcone ma per chiacchierare con il nostro nuovo amico, il ragazzo del palazzo di fronte con cui nei giorni precedenti partecipavamo ai flash mob. Ci siamo anche ripromessi di fare un pranzo insieme quando tutto questo sarà finito, ma ancora, per ovvi motivi, non abbiamo progettato nulla.
Prima di cena ci documentiamo nuovamente sui nuovi dati comunicati dalla Protezione Civile, e ci domandiamo per quanto tempo ancora dovremo sentire numeri così elevati.
La sera guardiamo un film, una serie tv o giochiamo a carte. Proviamo ad indovinare chi sarà la prossima persona benestante ad effettuare una donazione agli ospedali, discutiamo e ci chiediamo come sarà la realtà un domani, quando la pandemia sarà cessata e potremo nuovamente uscire in tranquillità.
Non spaventa l’impossibilità di uscire né la rinuncia alla nostra quotidianità. Il cambiamento radicale delle nostre abitudini aumenta la sensazione di impotenza che caratterizza le nostre giornate; ciò che spaventa è la consapevolezza di avere un nemico invisibile con cui ci dobbiamo confrontare. Stiamo vivendo un’epoca storica fuori dall’ordinario, e noi, gente ordinaria, cosa possiamo fare di più se non restare a casa?
Le nostre giornate proseguono monotone, tra lezioni online e giochi da tavolo.
Poi oggi, 26 marzo, la nostra Bologna ci regala uno scenario imprevedibile per una mattina di primavera: la neve.
La gente meravigliata si affaccia dalle proprie finestre e dai propri balconi, un po’ timorosi un po’ stupiti, siamo tutti consci che non è affatto un buon segno ma non nego che, almeno per pochi secondi, dimentichiamo il panorama surreale che stiamo vivendo e tiriamo un sospiro di sollievo. Con l’augurio che la neve possa spazzare via tutto e si possa tornare alla normalità.
Sarah Del Puglia