Sono 7 al momento, i siti storico-culturali Patrimonio Unesco in Sicilia. L’Area archeologica di Agrigento, la Villa del Casale di Piazza Armerina, le Isole Eolie, le città barocche della Val di Noto, Siracusa e la necropoli di Pantalica, l’Etna, il percorco arabo-normanno di Palermo, Monreale e Cefalù. Bellezze inequivocabili che ci invidiano in tutto il mondo. La Sicilia è abbastanza allineata con le altre regioni d’Italia, superando numericamente di gran lunga Sardegna e Marche. Eppure c’è qualcosa che manca a questo quadro iniziale, qualcosa di evidente. Si tratta in gran parte di siti di una parte della Sicilia, quella orientale e che giunge sino ad Agrigento e Palermo. Come un voler mettere una demarcazione netta tra una “pars” dell’isola e l’altra, l’altra che lotta ogni giorno per non far chiudere un aeroporto, dove le strade spesso sono scarsamente illuminate e/o piene di buche, dove il tempo sembra si sia fermato. Anche da un punto di vista culturale. Tanti evidentemente sono i fattori che non fanno crescere questa vasta provincia.
I fenomeni mafiosi, la corruzione, le tante maschere vestite di legalità, l’immobilità, l’incapacità di tanti politici o forse più logico chiamarli politicanti. Fatto sta che le Saline di Marsala e Trapani-Paceco, candidate al Patrimonio Unesco, sono rimaste ferme ad aspettare, pur avendo tutti i requisiti necessari. Tra questi, dimostrare la testimonianza di una tradizione culturale (la raccolta del sale), avere un edificio architettonico particolare (i mulini), essere esempio di processi ecologici e biologici, habitate fenomeni naturali (l’ecosistema della Riserva dello Stagnone). Nient’altro è richiesto, non la pulizia dei siti o chissà quali strutture turistiche. Perchè uno degli obiettivi dell’Unesco è proprio quello di puntare alla valorizzazione dei siti, una volta tutelati. Ad ora sono gli altri a godere di oltre un milione di euro dal Mibac e dalla Regione Sicilia. Qui si aspetta solo che il progetto di acquacoltura non sia solo un inutile scempio.