Guerra, responsabilità e parole: una riflessione necessaria in risposta a “La Corda Pazza”

redazione

Guerra, responsabilità e parole: una riflessione necessaria in risposta a “La Corda Pazza”

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venerdì 19 Dicembre 2025 - 01:40

Il nostro lettore Filippo Piccione interviene nel dibattito aperto dagli articoli di Gianvito Pipitone sulla guerra in Ucraina, scegliendo la forma del confronto critico e riflessivo. L’autore chiarisce fin da subito di non sottrarsi al dialogo, anzi di volerlo alimentare, soprattutto quando in gioco ci sono questioni che toccano la coscienza civile, la responsabilità morale e l’inquietudine diffusa generata da un conflitto che continua a segnare il destino dell’Europa e del mondo:

Caro direttore, prima di entrare nel merito degli articoli di Gianvito Pipitone, dedicati alla situazione della guerra in Ucraina, voglio fare alcune brevi considerazioni. La prima riguarda la denominazione della rubrica “La corda pazza”, che in questo caso, non mi pare sia più adatta della “Corda seria” (della la ragione e della morale). Anche perché spesso l’autore ha dimostrato di essere più incline a usare espressioni di questo genere: “Serve più che mai una posizione di buon senso”. La seconda concerne la quantità, la qualità e il rapido susseguirsi temporale degli interventi, che si presterebbero bene a essere, se non lo ha ancora fatto, pubblicati in un libro sotto forma di saggio. Passo ora all’articolo di lunedì 15 e, in modo specifico, desidero soffermarmi sul messaggio: “ma sei davvero diventato putiniano, allora?”. A questo punto mi corre l’obbligo di affermare, per le cose dette nell’articolo, di assicurare che continuerò a leggere la sua rubrica, così come continuerò a leggere, con piacere, interesse e attenzione, questo giornale, a cui sono legato fin dalla sua prima uscita.

Lo faccio perché non è nel mio carattere sottrarmi a un confronto, specie se si tratta di questioni che suscitano una così generale e diffusa ansia e preoccupazione, soprattutto se causate da repentini cambiamenti determinati dall’umore di certi personaggi, quasi protagonisti assoluti dei destini del mondo, come Trump o Putin, i cui obiettivi, in apparenza differenti e che, in particolari eccezionali congiunture, si sono rivelati palesemente convergenti (vedi la sintonia sul ridimensionamento dell’Europa). Per queste ragioni il loro atteggiamento è destinato a tracciare solchi sempre più profondi fra gli schieramenti in campo, come si evince dalla lettura del testo: da un lato nel messaggio: “ma sei diventato davvero putiniano” e dall’altro nell’incipit di uno dei capoversi: ”non ho mai avuto esitazione su ciò che accadde dal 22 febbraio 2022: l’aggressione russa contro l’Ucraina, accompagnata dai crimini di guerra che il regime di Mosca continua a infliggere a Kyiv”. Anche se a prima vista quest’ultima frase può dare l’impressione di una netta posizione di condanna nei confronti della Russia, (e noi condividiamo il fatto che questa convinzione effettivamente lo sia) il più delle volte, per il modo stesso con cui viene ripetuta, finisce per essere implicitamente o esplicitamente una gratuita “attenuante” a favore dell’intervento armato della Federazione Russa.

Anche quando si dice “ogni giorno dedicato alla guerra è un giorno sbagliato, un giorno irrimediabilmente perduto”, lascia il tempo che trova, per il suo significato banale fino a diventare, a forza di sentirlo, oltre che frustro, innocuo e controproducente. Io non ho una soluzione, come potrebbe essere quella di pensare a “il congelamento del fronte; normalizzare l’area; ricostruire; porre termine, con un pacchetto di garanzie di sicurezza per l’Ucraina e l’Europa”, come suggerito dall’autore dell’articolo in parola. Non so, anche se lo spero, che questo auspicio si traduca in un possibile crocevia dove incontrare Putin per imboccare la strada della pace. Non sappiamo quello che lui ha in mente di fare. Semmai si conoscono i suoi atti e i suoi comportamenti, rispetto ai quali finora sembrerebbe smaccatamente azzardato considerarli in linea con un progetto condiviso che ci condurrebbe verso una soluzione pacifica.

Per questo faccio fatica a essere equidistante fra chi ha voluto la guerra e chi l’ha subita. Faccio fatica a pensare che se Zelensky resiste e dà l’impressione di imputarsi quando dice di non voler cedere pezzi del territorio occupati dalle armate russe, è lui che vuole la guerra. Faccio fatica a pensare che se il popolo e l’esercito ucraino resistono all’avanzata dell’invasore e dell’occupante straniero, questo vuol dire che vogliono continuare a fare la guerra. Faccio fatica a pensare che i capi di governo che incontrano il presidente ucraino gli dicano “tiene duro” perché vogliono la guerra. Faccio fatica … faccio molta fatica, come tanti altri che assistono impotenti a questo teatro crudele. Il cui copione è già stato scritto e continua a essere rimaneggiato per adattarlo alla immagine e alla somiglianza dei mandanti che dettano agli attori, sparsi per il mondo, le parti che debbono recitare sulla scena che va in onda, senza interruzione, in ogni momento della giornata. In cui qualcuno muore sotto le bombe anche “se qualche sopravvissuto continua a pensare che la guerra – da lui non voluta – non sia mai una soluzione”.

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