Il 25 novembre è una data che ogni anno arriva puntuale e che rischia ogni anno di diventare una ricorrenza vuota, riempita di slogan, di numeri, di frasi fatte e tante panchine. Ma la violenza sulle donne, quella vera, si annida molto prima dei drammatici titoli dei telegiornali. È sottile, quotidiana, cresce in casa, in strada, sul lavoro. La donna si ritrova spesso a giustificarsi a domande del tipo: “Esci da sola?”, “Quel lavoro puoi anche non farlo, a che serve?”, “Oggi piove, meglio se resti a casa”, “Perchè ti sei fatta i capelli? C’è un altro?”. Oppure i “ci penso io”, “lascialo fare a me”. Una forma di protezione che sembra premurosa ma che è un riflesso radicato in cui la libertà femminile è sospetta. Ecco perché la voce delle operatrici dei centri antiviolenza, spesso sfiancate ma tenaci, mostra che cambiare mentalità è possibile se ci si lavora sin da piccoli. Far capire agli uomini della nostra vita che non c’è alcun disordine nel mondo se una donna fa ciò che vuole fare, che lavorare con autonomia è un atto professionale, che andare a un concerto da sole è un gesto normale, che ritagliarsi momenti di intimità con un’amica è una parte basilare della vita emotiva.
La cultura di genere richiede scelte forti, a volte linguistiche e simboliche. Non sono allineata al politicamente corretto a tutti i costi, la lingua italiana è bellissima e potrebbe essere usata senza ricorrere ad “Ə” e asterischi. La questione è liberare lo spazio affinché ogni donna possa esistere senza doversi costantemente giustificare. Ricordo quando in un negozio incontrai un conoscente e che nell’istante di un saluto, lungo 10 secondi, sono stata oggetto di un interrogatorio flash: “ti sposi?”, “quando fai figli?”. Non ho avuto nemmeno il tempo di aprire bocca, stavo ancora decidendo cosa comprare, se lo shampoo per capelli grassi o quello per capelli crespi con cheratina.
In verità non c’è nulla da spiegare: il problema non è nostro. Dovremmo imporci anche se a volte stiamo zitte per paura di non fare arrabbiare il nostro compagno, un fratello, un padre, un collega di lavoro, un amico. E qualora ciò porti a comportamenti violenti – perchè abbiamo lasciato, perchè ci ribelliamo, perchè siamo più brave sul lavoro, perchè ci siamo laureate prima – dovremmo ribellarci. Ma a parole siamo tutti/e bravi/e. No, non è facile per nulla. E’ una montagna insormontabile. Per questo abbiamo bisogno di una rete di persone qualificate che ci dicano quali sono i comportamenti sbagliati, tossici. E allora il 25 novembre potrebbe servire a ricordarci che la libertà femminile non è un capriccio, è un diritto e una forma di dignità. Essere donna oggi – come cantavano ironicamente Elio e le Storie Tese – è complesso, estenuante.