Mazara del Vallo avrà presto un massimo di 50 nuovi ispettori ambientali volontari. Saranno uomini e donne animati da senso civico, chiamati a vigilare sul territorio, segnalare gli incivili, contribuire a restituire decoro e rispetto all’ambiente urbano. Una bella notizia, certamente. Eppure, di fronte all’ennesimo appello alla responsabilità collettiva, è legittimo chiedersi: basterà questo per cambiare davvero qualcosa? L’Amministrazione comunale ha approvato il nuovo regolamento e pubblicato l’avviso per la selezione dei volontari, che dovranno seguire un corso di formazione, superare un esame e poi collaborare con il Servizio Ecologia e con la Polizia municipale. Il progetto è stato salutato con entusiasmo dall’assessore all’Ambiente Giampaolo Caruso, che ha parlato di “un altro modo per combattere l’inciviltà”, sottolineando l’importanza di “uomini e donne di buona volontà che amano la propria città e vogliono difenderla dagli incivili”.
L’intento è nobile, ma il contesto resta difficile. Da anni, infatti, Mazara si confronta con l’abbandono di rifiuti, microdiscariche che riemergono dopo ogni bonifica, periferie lasciate alla mercé dell’incuria, e un sistema di raccolta che – nonostante progressi evidenti – continua a soffrire di carenze croniche, in parte strutturali, in parte culturali. Telecamere, fototrappole, sanzioni e campagne di sensibilizzazione non sono mancate, ma la fotografia del territorio, specie in alcune zone, racconta ancora un’altra verità. E allora il dubbio è legittimo: possono un massimo cinquanta volontari supplire a un senso civico che, in alcuni casi, sembra essersi smarrito? Possono, con le loro sole segnalazioni, invertire un’abitudine radicata fatta di piccoli abbandoni quotidiani, di sacchetti lasciati di notte, di chi pensa che la strada sia di nessuno o, ancora peggio, di sua proprietà? La risposta, probabilmente, è no. Ma questo non significa che l’iniziativa sia inutile. Anzi, può rappresentare un punto di partenza, un tentativo concreto di coinvolgere la cittadinanza e di riportare il senso di appartenenza in città.
“Si può combattere questo fenomeno, dipende dalla nostra volontà, dal nostro buon senso” ha detto ancora Caruso. Ed è proprio qui il punto. La lotta all’inciviltà non si vince con un regolamento, ma con la partecipazione diffusa, con l’esempio, con la consapevolezza che il marciapiede, il cassonetto, la piazza, sono parte del nostro spazio vitale. E se la buona volontà dei cittadini può riaccendere una scintilla, tocca poi alle istituzioni alimentarla con fatti concreti: controlli costanti, mezzi adeguati, gestione efficiente e trasparente. Gli ispettori ambientali volontari possono essere pensati, in fondo, anche come un termometro della fiducia: misurano quanto la comunità crede ancora di poter cambiare le cose dal basso. Ma quella fiducia va nutrita e non sfruttata, non può e non deve diventare un alibi per coprire eventuali disservizi, né un tappabuchi per supplire alle carenze di personale e mezzi. È giusto dare spazio al protagonismo civico, ma è altrettanto giusto ricordare che la responsabilità primaria resta in capo al Comune, chiamato a garantire un servizio di raccolta che nei fatti è abbastanza puntuale, ma al quale bisogna aggiungere un controllo capillare e un’azione educativa costante, ad esempio provando a coinvolgere le scuole. Perché alla fine, la domanda resta sempre la stessa: vogliamo una città pulita o solo sentirci dire che stiamo provando a pulirla? La risposta non potrà darla un regolamento, ma il comportamento di ognuno di noi giorno dopo giorno, sacchetto dopo sacchetto.