Lorenzo Tinnirello, 65 anni, da decenni detenuto per il suo ruolo nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, ha chiesto un permesso premio per poter uscire temporaneamente dal carcere. Una richiesta che avrebbe rappresentato un raro spiraglio di normalità dopo anni di detenzione. Ma la risposta della giustizia è stata netta: il Tribunale di sorveglianza ha negato il beneficio, e la Cassazione ha appena confermato il rifiuto. Tinnirello ha mantenuto una condotta corretta in carcere, ha scritto lettere a studenti e ha dichiarato di essersi dissociato da Cosa nostra. Tuttavia, per i giudici questo non basta. La sua revisione critica è giudicata superficiale: parla delle conseguenze sulla propria vita, ma non affronta davvero il dolore causato alle vittime.
Neppure il contributo mensile di 30 euro a un’associazione religiosa viene considerato un gesto riparativo adeguato rispetto alla gravità dei delitti. Gli avvocati difensori, Alberta e Ottinà, hanno contestato il giudizio definendolo “eticizzante”: secondo loro, i giudici avrebbero preteso un pentimento totale come requisito morale, e non legale. Ritengono che le iniziative del detenuto – dagli incontri con gli studenti alla richiesta di percorsi di giustizia riparativa – dovessero avere un peso maggiore. La vicenda è diventata così uno scontro tra due visioni: da un lato, chi sostiene che per ottenere benefici serva un cambiamento profondo e credibile, soprattutto per crimini così gravi; dall’altro, chi teme che si chiedano obiettivi impossibili, rendendo i benefici penitenziari irraggiungibili. Ora la Cassazione ha messo il sigillo definitivo: il “no” resta.