Trapani non si allaga perché piove troppo, ma perché ha dimenticato come gestire l’acqua. Questa è la sentenza, lucida e implacabile, che emerge dal primo vero studio scientifico sul dissesto idraulico della città, presentato a Palazzo d’Alì dallo staff di Technital, con la regia dell’ingegnere Simone Venturini e alla presenza del sindaco Giacomo Tranchida, del dirigente comunale Orazio Amenta e dell’assessore Giuseppe Pellegrino. Una ricognizione tecnica che, più che una diagnosi, è una lunga requisitoria su decenni di errori urbanistici, opere mai completate e canali sepolti sotto colate di cemento. A fare da protagonista, nel racconto di Venturini e Amenta, è il canale Scalabrino: un tempo ampio sei metri e profondo quasi due, oggi ridotto a un tubo sottodimensionato, sempre in pressione, che rigurgita acqua ad ogni temporale.
“Negli anni ’70 – ha ricordato Amenta – la commissione edilizia bocciò un piano di lottizzazione perché insisteva sul canale. Ma bastarono pochi mesi e la promessa di tombarlo per trasformarlo in strada, e tutto fu approvato. Oggi quel tubo non regge, spinge l’acqua fuori dai tombini e ci ritroviamo con le strade come fiumi”. Una città che dimentica i suoi corsi d’acqua finisce per affogarci dentro. Lo studio di Technital non ha usato mezzi termini: Trapani ha cancellato il proprio sistema di drenaggio naturale e affidato la sicurezza idraulica a impianti di sollevamento ormai al collasso, come quello di via Marsala, dove converge l’intero bacino idrografico. “È come avere un lavandino che scarica solo quando è già colmo – ha spiegato Venturini – e con piogge sempre più violente, è una follia pensare che basti pompare”. Il cuore del problema non è solo in pianura. Parte tutto dal Monte Erice, e da ciò che su quel versante non funziona. I canali di Gronda, progettati negli anni ’80 per intercettare l’acqua a monte, sono costati miliardi di vecchie lire. Eppure, non servono a nulla. “Non raccolgono nemmeno una goccia – ha ammesso Amenta – perché sono scollegati dal territorio. L’acqua bypassa i canali e finisce in città”. A monte, a trattenere l’acqua, non ci sono nemmeno gli alberi. “Per questo – ha aggiunto – il piano prevede anche un intervento di piantumazione. Gli alberi non servono solo a fermare l’acqua, ma soprattutto il fango che viene giù con le piene”.
Il piano messo a punto da Technital prevede tre grandi assi di intervento: recuperare i canali di monte, ricostruire l’antico asse del canale Scalabrino e realizzare un bacino di laminazione nell’area della Salina Collegio, trasformandola in un grande parco urbano con funzione idraulica. Accanto a questi, opere di riforestazione e il ripristino del lago Cepeo, oggi cementificato. In tutto, 56 milioni di euro. Tanti, ma necessari. Il sindaco Tranchida, da parte sua, ha lanciato l’appello: “Il Comune da solo non può farcela. Servono fondi, ma soprattutto una cabina di regia regionale. Se questo studio resta nei cassetti, i cittadini continueranno a vedere l’acqua entrare in casa e il mare riempirsi di fogna”. Il dato più inquietante arriva a chiusura della conferenza: lo studio ha simulato l’evento del 26 settembre 2022, una delle peggiori alluvioni della storia recente. Con gli interventi previsti, l’acqua nelle strade non scomparirebbe, ma passerebbe da 70 a 15 centimetri. “Non è la perfezione – ha detto Venturini – ma è gestione. O agiamo ora, o la prossima alluvione sarà peggiore”. Trapani ha una mappa idraulica antica, cancellata da anni di scelte frettolose e interessi privati. Oggi riemerge, scavando tra gli archivi e le strade. Non è solo una sfida tecnica. È un’occasione, forse l’ultima, per riportare l’acqua al suo posto. Prima che decida da sola dove andare.