Trump stappa, noi… piangiamo vino

Claudia Marchetti

Ka...link...ka

Trump stappa, noi… piangiamo vino

Condividi su:

lunedì 14 Luglio 2025 - 06:00

E alla fine arrivò “la letterina“. Così la chiamano. Ma non quella di Natale. È luglio, fa caldo, e la posta d’oltreoceano non porta buone notizie: il presidente Donald Trump ha minacciato, già da mesi per il vero, di imporre dazi al 30% sui prodotti europei a partire dal 1° agosto. Come dire: ci aprite i vostri mercati, o noi vi chiudiamo i nostri?. E se rispondete con una ritorsione? Nessun problema: rilanciamo di un altro 30%, tanto per gradire. Nel mirino della nuova guerra commerciale anche l’agroalimentare italiano. E soprattutto il vino, anche quello siciliano, che già tanto bene non se la passava per altri motivi, siccità e peronospora compresa. Ma si sa, la fortuna è cieca, mentre il protezionismo è cieco, sordo e spesso pure un po’ miope.

Per capirci: gli USA sono il primo mercato per il vino italiano, con un valore annuo che sfiora i 2 miliardi di euro. Solo la Sicilia esporta verso gli Stati Uniti per quasi 300 milioni. Una cifra che rischia di evaporare più in fretta di un calice di Grillo sotto il sole d’agosto. Con i dazi al 30% – che per il vino significano un balzello totale fino al 35% – parliamo di un potenziale crollo delle esportazioni fino all’80%. Una catastrofe. Anzi, un “embargo mascherato”, come lo ha definito l’Unione Italiana Vini. E dire che bastava una sola lettera per bruciare decenni di rapporti commerciali, promozioni fieristiche e sorsi di diplomazia. Il paradosso è che questa valanga protezionista arriva proprio mentre l’Italia (e in particolare la Sicilia) aveva iniziato a conquistare, etichetta dopo etichetta, il palato americano. Vini eleganti, identitari, sostenibili. Vini che raccontano il territorio, la fatica, la cultura. Ma che, dallo scaffale di un’enoteca newyorkese, potrebbero presto sparire, lasciando il posto ai “Barollo” californiani o agli “Etna Rosso Reserve” prodotti in Arizona. L’Italian Sounding ringrazia, e incassa.

In questa storia, il Made in Italy ha la peggio: la Commissione europea prova a mostrarsi ferma ma aperta al dialogo. L’Italia chiede prudenza, mentre i produttori gridano all’allarme rosso. Il presidente di Coldiretti Sicilia, Francesco Ferreri, è chiarissimo: “Se questi dazi entrano in vigore, sarà un disastro per tutta la filiera, dal vignaiolo al distributore”. Difficile dargli torto. Perché il danno non è solo commerciale. È culturale. Economico. Identitario. È l’ennesima dimostrazione di quanto fragile sia il nostro modello di sviluppo se lasciato in balia dei tweet e delle minacce a stelle e strisce. E se l’Unione Europea sembra un po’ troppo occupata a litigare su chi prende quale commissariato, intanto le bottiglie restano nei magazzini e i contratti saltano.

Nel frattempo, il presidente di Federalimentare chiede meno burocrazia, energia meno cara, accesso al credito. Un piano Marshall per la competitività: la risposta ai dazi non può essere solo una rappresaglia commerciale, ma un progetto vero per rendere le imprese italiane capaci di resistere alle onde della geopolitica. La Sicilia e l’Italia tutta, rischiano di pagare un prezzo sproporzionato in questa partita. Qui, dove il vino ha una storia millenaria, si guarda al futuro con crescente ansia. Perché i mercati alternativi – Cile, Asia, Nord Europa – non si costruiscono in due mesi. Non si può mettere in pausa la vite perché Trump ha deciso di difendere l’uva californiana che per carità, problemi loro che qui ne abbiamo già sin troppi.

In tutto questo, a perdere sono tutti. I produttori italiani, gli importatori americani, i consumatori che si vedranno offrire Amaroni di dubbia origine a prezzo pieno. E un intero continente che si scopre ancora una volta spettatore, più che attore, in un mondo dove ogni tweet può costare miliardi. Ironia della sorte, il vino – simbolo di convivialità, di incontro, di dialogo – diventa ostaggio delle tensioni tra potenze. Ma siamo europei, siamo italiani. Sappiamo che anche dalle annate più difficili può nascere qualcosa di buono. Purché ci si metta mano alla politica, alla diplomazia e soprattutto al buon senso. Nel frattempo, a noi non resta che stappare una bottiglia… e sperare che non sia l’ultima.

Condividi su:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commenta