Il cambio di casacca della senatrice Furlan e lo spirito di sottomissione del Pd siciliano

Vincenzo Figlioli

Punto Itaca

Il cambio di casacca della senatrice Furlan e lo spirito di sottomissione del Pd siciliano

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sabato 08 Marzo 2025 - 06:30

L’ennesima beffa per la rappresentanza politica dei democratici in Sicilia ha il volto e il nome di Anna Maria Furlan. Nel settembre del 2022 la sindacalista della Cisl fu candidata come capolista nel collegio plurinominale Sicilia 1 con il Partito Democratico, nonostante avesse decisamente poco a che fare con l’isola. Un po’ come la forzista Marta Fascina, per intenderci. Tuttavia, anche in quell’occasione, i dirigenti del Pd siciliano si piegarono alle ragioni di real politik della segreteria nazionale – in quella fase guidata da Enrico Letta – e assicurarono alla ligure Furlan un collegio blindato in Sicilia. Per l’ennesima volta, le legittime ambizioni delle donne e degli uomini del centrosinistra siciliano furono messe da parte, così come le aspettative degli elettori che – legittimamente – avrebbero voluto votare ed eleggere un candidato (o una candidata) che conoscesse bene le numerose criticità della Sicilia – dalla sanità alle infrastrutture, dalla crisi idrica a quella agricola, dai trasporti all’emigrazioni giovanile – e che potesse rappresentare un interlocutore affidabile nel corso della legislatura.

A due anni e mezzo dalla sua elezione, la Furlan ha deciso di lasciare il Pd che l’aveva candidata per aderire a Italia Viva, ritenendo la linea del partito fondato da Renzi più vicina alla sua in materia di lavoro e di salario minimo. Anche qui, tutto assolutamente legittimo, tenuto conto che la nostra Costituzione non prevede il vincolo di mandato per i parlamentari. Ma non sempre ciò che è formalmente corretto è anche giusto, se ancora quest’aggettivo può avere spazio in politica. Non solo il Pd siciliano dovuto cedere un seggio sicuro al Senato per eleggere una candidata ligure, ma adesso si ritrova anche a dover prendere atto del suo cambio di casacca. Il danno e la beffa, verrebbe da dire. Ora torniamo all’estate 2022 e proviamo a immaginare cosa sarebbe successo se il Pd nazionale avesse chiesto ai dirigenti liguri, lombardi o veneti di candidare un siciliano a cui bisognava necessariamente garantire un collegio blindato: nella migliore delle ipotesi avrebbe ricevuto un garbato diniego, nelle peggiori si sarebbe scatenata una rivolta dei tesserati. La verità è che a Roma non si sarebbero nemmeno permessi di proporlo.

Se davvero Elly Schlein intende portare avanti un’idea di rinnovamento del suo partito dovrebbe fare tesoro di vicende come questa e impegnarsi a far sì che non si verifichino più. Il Pd ha donne e uomini che con passione e coraggio si spendono in una terra complicata come la Sicilia per denunciare i problemi con cui i cittadini fanno i conti ogni giorno. Sono queste le persone a cui si dovrebbe garantire la possibilità di approdare in Parlamento, a portare avanti le battaglie e le ragioni di questo territorio, in sinergia con le comunità locali. Dall’altra parte, sarebbe il momento che i democratici siciliani la smettessero di sentirsi i parenti poveri dei colleghi milanesi e romani, facendo valere il loro ruolo e gli interessi legittimi della propria terra. A pensarci bene, potrebbe essere anche un buon modo per recuperare i consensi perduti.

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