Il 19 ottobre scorso il procuratore aggiunto Paolo Guido e il sostituto Gianluca De Leo hanno interrogato in carcere l’operaio comunale di Campobello di Mazara, Andrea Bonafede, l’operaio campobellese omonimo del geometra che ha prestato l’identità a Matteo Messina Denaro. Bonafede era uno dei più vicini al boss castelvetranese nel periodo della sua ultima latitanza e in primo grado è stato condannato per favoreggiamento aggravato e non per associazione mafiosa, così come sosteneva la tesi difensiva dell’avvocato Tommaso De Lisi. Il verbale dell’interrogatorio è confluito nel processo in abbreviato che vede imputati Cosimo Leone, Massimo Gentile e Leonardo Gulotta. Leone, tornato in carcere nei giorni scorsi su decisione del Tribunale del Riesame, è un tecnico di radiologia e sarebbe stato il gancio interno all’ospedale di Mazara del Vallo. Gentile, che di mestiere fa l’architetto, avrebbe fornito a Messina Denaro un suo documento per acquistare una moto e una macchina. Gulotta, invece, avrebbe messo a disposizione del latitante il suo numero di cellulare.
In questo contesto, Andrea Bonafede si sorprende del fatto che le chiavi trovate nella sua macchina serva per aprire il garage dei misteri a Mazara del Vallo, ritrovato qualche mese fa e nella disponibilità dei fratelli Giuseppe e Sabrina Caradonna. Di sicuro pare fosse un’altra alcova usata da Lorena Lanceri, cognata di Andrea Bonafede e moglie di suo fratello Emanuele. Lorena era una delle donne più fidate di Messina Denaro. Al momento Bonafede dice di non aver sottratto la carta d’identità a Gentile per comprare una Fiat 500 e una moto Bmw per il boss ma Bonafede nega nonostante abbia avuto sottomano quel documento ma pare in un periodo successivo all’acquisto dei due mezzi. Ma per il fidato di Messina Denaro Gentile poteva essere realmente ignaro.