Scrivo queste poche righe dopo aver osservato per giorni, sgomenta, il teatrino, trasversale in verità, di una politica che finge di non vedere il baratro dentro cui rischiano di precipitare i principi fondamentali della nostra democrazia parlamentare.Un copione già visto, ma, elezione dopo elezione, sempre più straniante e dissociato dalla realtà. Abbiamo assistito, a commento delle elezioni per il Parlamento Europeo, a un tripudio di festeggiamenti per ogni decimale di voti in più conquistato. Ciascuno ha guardato il dito ignorando la luna o, come dice uno bravissimo, non vedendo “la mucca nel corridoio “. In Italia, per la prima volta, ha votato meno della metà degli elettori, in Sicilia solo il 37% si è recato alle urne. Sono dati terribili, sintomi inequivocabili di un disamore profondo per la partecipazione democratica. Io non so se sia concreto il rischio di un salto all’indietro verso orrendi scenari novecenteschi. Molte cose certo inquietano in questo primo quarto di millennio: lo sdoganamento di parole impronunziabili, la violenza di certa politica, la persecuzione del diverso, per colore o per opinioni.
Gli scenari preoccupanti che si profilano in Italia, in Europa e nel mondo richiederebbero una conoscenza diffusa e una mobilitazione massiccia.Invece, niente conoscenza e niente mobilitazione.Davanti a questa acquiescenza, credo che chiunque si occupi di politica abbia il dovere di riflettere sul passaggio in atto dalla democrazia all’oligarchia. Libertà è partecipazione, cantava Gaber, senza partecipazione non c’è libertà e non c’è democrazia. La sovranità appartiene al popolo e si esprime nel momento supremo del voto. Esiste democrazia “di popolo” se solo una minoranza vota?
La sovranità del popolo si trasforma nella sovranità di pochi, diventa oligarchia. Anche quando l’astensionismo è altissimo, qualcuno otterrà una maggioranza per governare e si sentirà titolato a farlo anche se ha raccolto il voto del 25/30 per cento degli elettori, come se avesse avuto il consenso di oltre il 50 per cento dei cittadini. E governa, cambia le leggi, cambia le Costituzioni, interpretando il momentaneo vantaggio come il potere di rappresentare tutto il Paese o, comunque, la sua stragrande maggioranza. La politica va avanti lo stesso, cantando vittoria sulle ceneri della partecipazione popolare, ma a governare sarà chi rappresenta una minoranza. Ecco l’oligarchia, il potere di pochi. Siamo convinti che i “pochi” decideranno sempre nell’interesse di tutti? Crediamo che questo possa realmente portare a un “governo dei migliori” secondo la visione che Platone aveva dell’aristocrazia? Non credo che la cronaca politica di questi mesi ci induca a queste conclusioni, resto fermamente convinta della necessità di una massiccia partecipazione popolare, continuo a pensare che, per quanto imperfetta, non esista forma di governo migliore della democrazia. Il ritorno ad una democrazia reale impone dunque, innanzitutto, una presa di coscienza dello stato delle cose e della profonda crisi che il sistema sta attraversando e, di conseguenza, l’adozione di serie contromisure utili a risvegliare l’interesse dei cittadini; dai comportamenti (spesso non edificanti), alla stessa comunicazione, fino alle modalità di interazione e partecipazione di tutti alle decisioni politiche. Di questo, penso, dovrebbe farsi carico, oggi, chiunque faccia politica, a tutti i livelli, con un salutare bagno di umiltà e contrapponendo il principio di realtà al peana delle vittorie di Pirro.
Antonella Milazzo