Da alcune settimane il mondo del calcio è scosso da un nuovo scandalo scommesse. Finora sono arrivate un paio di ammissioni di colpa (con relative squalifiche), diverse smentite e la sensazione che potrebbe trattarsi della punta di un iceberg. Nell’immaginario comune, è difficile accettare che calciatori milionari come Tonali e Fagioli possano sentire l’esigenza di ampliare le proprie finanze scommettendo sistematicamente sul calcio o su altro. Si dimentica, però, che i calciatori sopra citati sono ragazzi di 20 anni, non molto diversi – per formazione e interessi – rispetto ai loro coetanei meno ricchi, che ogni giorno dispongono di un budget, più o meno piccolo, da destinare alle scommesse presso le numerosissime agenzie sorte in questi anni (anche nelle vicinanze di scuole o oratori) o attraverso le piattaforme on line, facilmente accessibili attraverso gli smartphone.
Anche dalle nostre parti, si fa fatica a trovare adolescenti che non siano soliti scommettere, individualmente o in gruppo, nonostante il gioco d’azzardo sia vietato fino alla maggiore età. A scuola, capita spesso di notare, al cambio dell’ora o durante la ricreazione, ragazzi con il capo chino sul proprio cellulare, ragionare sui possibili risultati dei vari campionati europei e sulle quote connesse ai diversi esiti del match. Del resto, la pubblicità martellante di questi anni, accompagnata dal volto di noti testimonial, non ha fatto che alimentare ulteriormente il business delle scommesse, lasciando pensare che fosse una strada senza rischi. Il problema è che, spesso, i giovani scommettitori sviluppano una dipendenza che sconfina nella ludopatia o nel gioco d’azzardo patologico, con la possibilità di andare incontro a disturbi comportamentali e di entrare in contatto anche con dinamiche più complesse, che portano al mondo sommerso delle scommesse illegali, all’indebitamento, all’estorsione, all’usura. Del resto, le cronache dimostrano che spesso le mafie hanno proprio nel gioco illegale uno dei principali centri di interessi per i propri business.
Di fronte a un fenomeno così radicato, limitarsi all’indignazione nei confronti di due-tre calciatori appare quantomai inutile, oltre che ipocrita se – contestualmente – continuiamo a far finta di non vedere quel che accade intorno alle nostre case.