Radici d’Anarchia (parte 1)

Sebastiano Bertini

Lo scavalco

Radici d’Anarchia (parte 1)

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lunedì 20 Marzo 2023 - 08:36

Il caso Cospito ci costringe ad un deciso salto all’indietro nel tempo. Ci impone, cioè, di seguire fili che si attorcigliano in alcuni snodi critici del ‘900, ma che si ancorano più lontano: nel pieno ‘800, nella modernità “forte” di Marx e Bakunin, quella che, con Nietzsche, ancora non aveva conosciuto il proprio limite.

Presenza del Passato, rimasticando Portoghesi.

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Quindi tutto inizia in quella fase della nostra storia – il primo ventennio post-unitario – che è anche l’ultima in cui il ragionamento sull’Italia riesce a mantenere il turgore della strategia.

Alla metà degli anni ’60, Bakunin, il padre dell’anarchismo, è in Italia. Sta per rompere con Marx, e si prepara anche a cercare di sostituire il mito di Mazzini, e la sua aspirazione nazionale, con il martirio di Pisacane e il modello decentralizzante della Comune di Parigi.

Sta di fatto che al Congresso di Rimini, 1872, quando la Federazione italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori – ovvero la traduzione italiana della Prima Internazionale – si costituisce ufficialmente, la componente anarchica è decisamente prevalente.

Bakuninisti quanto basta per proclamare seduta stante – in piena coerenza al dettato dell’atomizzazione – la scissione rispetto al Consiglio generale di Londra.

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L’humus dell’Internazionale – da cui nascerà, per escissione, nel 1892 il Partito Socialista Italiano – perciò, in Italia, è impregnato di Anarchia.

Circolano le idee di un Sistema del mondo – citando appunto il titolo di una delle pubblicazioni di Bakunin – ateo e deterministico, in cui la Natura è il motore di Causalità generale, determinante leggi, condizioni e rapporti. Dentro questa cornice, l’uomo è una sorta di agente anti-deterministico, convocato dal proprio intelletto alla libertà: l’uomo deve conoscere, perciò – alla faccia dello stoicismo – deve superare la condizione di natura.

Si sorvoli sulle non poche incoerenze derivate dall’accozzo di questi due assunti. Basti arrivare al succo politico, diffusamente somministrato.

La libertà è un assoluto.

La vera pre-condizione per la libertà è l’uguaglianza.

I due veri ostacoli all’uguaglianza sono il Capitale e lo Stato.

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Inquadrati i “nemici”, non resta che l’azione.

E in questo campo il movimento anarchico si trova a divergere irreparabilmente dal marxismo.

Dato che la libertà è un assoluto, anche il più raffinato dei sistemi rappresentativi la sporca e la distorce.

Per Bakunin, il regno intermedio del Proletariato (capace per i marxisti di auto-decapitarsi dopo aver acquisito il potere e aver appianato tutte le iniquità, così giungendo alla nuova forma de-statalizzata del Comunismo) è travisamento fatale: qualsiasi apparato violerebbe il principio di uguaglianza radicale.

La rivoluzione deve essere, semplicemente, violenta e ostile a qualsiasi compromesso o risultato intermedio.

Unico risultato possibile: il federalismo libertario, in cui sono assenti le gerarchie.

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Ora, il Movimento Anarchico Italiano, formalmente fondato nel 1891 con l’esaurimento dell’Internazionale in Italia, nasce da queste premesse.

È entro queste premesse matura anche il più noto tentativo insurrezionale dell’Italia ottocentesca: quello goffo e provincialissimo del Matese. Primi di aprile, 1877, Appennino sannita, rurale e lontano.

Più che i fatti, ora sarà interessante osservare l’accoglienza, le opinioni e i giudizi che permarranno nell’elaborazione collettiva e che ricadranno, sotto forma di alone, su tutta la storia – anche recente – dell’anarchismo italiano.

Certo è che se c’è un marcatore decisivo è quello della “simpatia romantica” per di Robin Hood con la tuba.

Gli eventi hanno in effetti qualche cosa di romanzesco.

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Le due teste pensanti del gruppo furono Cafiero e Malatesta. Dopo attenta riflessione, i due avevano scelto questa boscosa zuffa di monti poiché lì il Brigantaggio aveva dato segni di fervore e buona continuità.

Certamente avevano pensato di trovare qui una truppa, già ostile allo Stato, pronta ad essere reclutata e già esperta della guerra per bande in quel territorio.

Il Cafiero si finge distinto gentlemen inglese in cerca di riparo dalla frenesia della città: trova ospizio a San Lupo, nelle idee degli strateghi ottimale centro di irradiazione.

Una delazione falcia però immediatamente i piani: nel giro di pochi giorni si passa allo scontro a fuoco con i Carabinieri e alla fuga per i boschi.

In tutto i rivoltosi sono ventisei.

L’8 di Aprile gli stessi ricompaiono nell’abitato di Letino. Borgo appenninico, si noti, feudo sostanzialmente fino al 1806, popolato non poco: circa 1.300 abitanti, al tempo.

Qui il Comune viene occupato, il Prete arringa alla piazza che Vangelo e Socialismo possono coincidere, i rivoltosi bruciano i registri del catasto e stralciano i conteggi della Tassa sul Macinato.

Il Contado tutto applaude.

Dopodiché, la storia si ripete in un paesello vicino e l’epilogo giunge per accerchiamento.

Pare addirittura 12.000 soldati mobilitati per sedare quei boschi lontani. Sproporzione che già ci dice molto delle condizioni psichiche dell’anima dello Stato.

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Il processo, poi, trasforma la Banda del Matese definitivamente in “giustizieri popolari”.

L’ondata di persecuzioni in tutta la penisola nei confronti di Socialisti e Anarchici li trasforma immediatamente in martiri.

Quindi, l’appropriazione da parte degli imputati – si leggano i testi delle notissime arringhe – della retorica cristologica risorgimentale fa il resto.

“Calata di braghe” definitiva dello Stato: alla fine dell’Agosto del ‘78, presso la Corte di Benevento, folla festante di pare duemila cittadini, tutti assolti; il tutto in coincidenza con l’amnistia proclamata dal nuovo re, Umberto I.

Proprio quell’Umberto I che troverà la morte per mano dell’anarchico Gaetano Bresci.

Ma a questo, sulla strada per arrivare a Cospito, è necerssario dedicare una puntata a parte.

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L’impressione che rimane, osservando i fatti e tutto ciò che seguirà nel ‘900 in prospettiva, è l’opposizione tra la generale debolezza ideologica dello Stato e la romantica idealità dei rivoltosi.

E a ben vedere, questa romanticheria che offusca non poco l’analisi, è un alone che con una certa persistenza risalirà lungo tutto il secolo successivo.

Ne sono la prova tanto le peregrinazioni di solitari idealisti alla ricerca della sepoltura di Bresci, certe lapidi alla memoria, pure certe difficoltà critiche nell’avvicinare il concetto di Guerra Civile alla nostra Resistenza, come anche le terribili e tragiche distorsioni che hanno alimentato gli Anni di Piombo.

È lecito allora domandarsi, anche riguardo a Cospito, quale sia il tenore di persistenza di quella prima impressione beneventana?

Cioè, perché, dopo tutte le vicende di sangue che hanno segnato il ‘900 anarchico, esiste ancora un Movimento Anarchico che progetta e legittima la violenza?

Alla seconda parte.

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

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