Rifare l’Arte con il Purè

Sebastiano Bertini

Lo scavalco

Rifare l’Arte con il Purè

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sabato 26 Novembre 2022 - 11:37

Scandali e disastri, con Ballard, Cronenberg e Virilio

Sembra che questa novità dei quadri al purè, alla minestra, ai fagioli, faccia una sorta di splendido sgambetto ai vari commentatori da talk show, ai saputelli da giornale e ai moralisti e ai benpensanti.

Tutta questa retorica del “largoaigiovanismo” e poi, non appena trovano un modo per affacciarsi sulla scena, gran ritirata di remi in barca.

“Eh, ma l’Arte non si tocca!”: strano a dirsi, ma forse questo è proprio il sunto di tutto ciò che non-è-arte.

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Seppur il concetto sia dato per accolto da tutti i manuali di Storia dell’Arte, da tutti i teorici e da tutti i sedicenti colti, quello di consustanzialità tra Scandalo e Arte pare, al suo farsi realtà, decisamente maldigerito.

Lo si accetti: in ogni gesto artistico abita – anche ma non solo – il desiderio di colpire, scompaginare, trasmettere e elettrizzare. È spiegato con dovizia di particolari e grande varietà di forme da un secolo abbondante di produzione artistica: il ‘900.

La Donna seduta in calze viola, che si masturba guardandoci negli occhi, ha qualcosa da dire e lo dice pungolando, strappando, agitando, imbarazzando; pizzicando anima e corpo dell’osservatore.

Ora, arrivare a sostenere che lo spalmare di purè di patate il vetro protettivo – e non sull’opera stessa – di un Monet corrisponda a un qualche tipo di nuovo nichilismo giovanile, involuto in una irrisolvibile contraddittorietà, è quasi sciocco.

Equivale ad accoltellare la Maja desnuda o a mettere le mutande ai nudi rinascimentali.

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Strana “borghesizzazione” dell’Arte quella che la vuole rinchiusa in musei, rinchiusa e canonizzata nell’eternità contemplativa del “cliente-utente” di fonte al “riquadro-immagine”. È caduto in questo tranello anche il Rolling Stone.

L’effetto del nostro caro purè è quello di ri-attivare l’opera in sé, attualizzandola e rendendola medium di un messaggio dell’adesso.

Sulla superficie vetrificata de I Girasoli la copiosa colata di passato di pomodoro si somma, si pone in controcanto e in dialogo. Ed è questo connubio che dice “qualcosa”.

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Splendida capriola. Proprio la reazione “borghese”, vecchia e moraleggiante, di molti dei commentatori rende possibile lo Scandalo.

L’Arte è sempre una questione di relazione: se c’è un “pungolo” deve esserci anche un “pungolato” che si dimeni non appena sfiorato.

Perciò è il non-capir-nulla di-Arte di molti parlatori/digitatori a realizzare l’in-sé-dell’Arte.

Viva allora i buonismi, i moralismi e i qualunquismi, capaci di saltare sulle sedie per gesti, in realtà, così rivoluzionari-ma-non-troppo!

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A dire il vero, c’è anche una questione più profonda e trasversale: quella che riguarda la nostra difficoltà con la distruzione generativa, con l’incidente integrale o con il disastro creativo.

Se osserviamo il senso comune, il generale modo di concettualizzare questa “addizione di opposti”, faticosamente si esce dal pensiero apocalittico di marca giudaico-cristiana.

Secondo questo modello di pensiero la distruzione è ri-generativa poiché “smonta”, “seleziona”, “rimonta”. Il Diluvio è un setaccio, così come il Giudizio universale.

Da questa prospettiva derivano tanto il modo in cui trattiamo il concetto di Tabula rasa – che va a “zero” si, ma mostrando le sue venature, i suoi nodi, le sue qualità intrinseche e inaggirabili –quanto le fascinazioni hollywoodiane per il deinòs, il “mostruosamente bello e terribile” dei vulcani, dei terremoti o della guerra atomica, al seguito dei quali ogni storia ri-parte rinnovata nella sopravvivenza. Basta seguire l’arco che va dal The Last Man di Mary Shelley al Mad Max cinematografico e i suoi epigoni.

Quando allora l’evento esclude a priori la “selezione” e la “sopravvivenza” e opera invece corrompendo l’oggetto presente, distruggendolo – potenzialmente – per mezzo di forza, di concetto, o di altro oggetto, allora il modello si trova fuori gioco.

Un romanzo capace di potente sovrapposizione fra distruzione e sessualità come Crash! di J.G. Ballard, ad esempio, è stato a lungo maneggiato con diffidenza. Addirittura il capitolo di Simulacri e Simulazione, 1981, di Baudrillard che ne trattava è stato tradotto integralmente in inglese solo dieci anni dopo l’uscita del libro, nel 1991.

In Crash! l’atto sessuale coincide con l’incidente automobilistico: la distruzione dei corpi, il loro sezionamento e smembramento nelle lamiere contorte diviene non solo fonte di eccitazione, ma vero e proprio coito.

L’incidente integrale è talmente fuori asse che, quando nel 1996 David Cronenberg tenta di trasporre il romanzo di cui sopra in pellicola cinematografica, in Inghilterra monta una polemica tanto vasta da condurre al divieto di proiezione in alcuni distretti.

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Un filosofo come Paul Virilio, non a caso devoto cattolico, rivela un’ossessione dominante per il disastro, tanto da connaturarlo alla società della tecnologia che ci avvince e domina.

Se all’invenzione dell’aereo corrisponde, inevitabilmente, anche quella del “disastro aereo”, della caduta, allora il nostro mondo si avvia sempre più a sostituire l’evento con l’incidente. Secondo Virilio la turbo-realtà prodotta dalla tecnologia è “fatta di incidenti”, è un Apocalisse continua.

Nel futuro ha visto il disastro della “genetica”; ha immaginato un’umanità animata da nuovo razzismo, divisa tra i nuovi-umani “ingegnerizzati” e quelli di “sangue e sperma”.

Una spirale da cui Virilio esce soltanto immergendosi – per quanto affermi di non farlo – nella morale: il “progresso ha sostituito Dio”; al nichilismo oppone San Paolo.

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Eppure, nel purè sulla superficie di un vetro che ricopre un famoso quadro non c’è l’involuzione dell’umano: c’è semmai l’urgenza di incanalare un messaggio – come quello ambientalista – che ha come obiettivo l’umano e che ha come orizzonte di senso la vita nella sua interezza.

Guarda caso, tutti valori che insistiamo a vedere proprio nell’Arte. Tutti valori che ben si amalgamano con il purè.

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

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